La Trump economy e il confronto con la realtà

La chiusura di Wall Street è l’occasione per una riflessione più profonda sulla reale situazione economica del Paese, proprio nella settimana dell’incoronazione di Donald Trump a quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti.

L’entusiasmo seguito all’elezione del nuovo Presidente continua a pervadere Wall Street, che ascende a nuovi record e che ha registrato due mesi imprevisti anche dalla gran parte degli analisti e probabilmente dallo stesso Trump.

Tuttavia, malgrado l’euforia del mercato azionario nelle ultime nove settimane e i segnali che giungono dalla fiducia dei consumatori ascesa recentemente ai massimi degli ultimi dieci anni, dall’economia “di strada” continuano a giungere segnali contrastanti e ambigui sullo stato di salute del Paese.

L’anno precedente è terminato con l’ennesima apocalisse del settore delle vendite al dettaglio. Sears e Macy’s hanno chiuso nuovi stores e licenziato altri dipendenti, ma sorprende la decisione di Wal-Mart, la prima catena di distribuzione del Paese,di procedere nella stessa direzione.

Nei giorni scorsi, la multinazionale americana ha comunicato l’intenzione di mandare a casa entro la fine di questo mese 1.000 dipendenti, tutti nel quartier generale di Betonville in Arkansas. Il tutto per razionalizzare l’attività ed operare in modo più efficiente; una decisione piuttosto sorprendente.

Poche ore più tardi, anche Boeing, il colosso aerospaziale, ha affermato che lascerà a casa qualche centinaia di ingegneri in tre sedi diversi del Paese, senza precisare l’esatta entità degli esuberi.

La notizia segue la dichiarazione del vice presidente della società che lo scorso dicembre sostenne che ci sarebbero state nuove sforbiciate alla forza lavoro nel corrente anno.

Resta da capire per quale motivo Boeing farà a meno di centinaia di tecnici che ha formato per anni, anche se una risposta giace nelle stesse parole del suo vice presidente quando ha dichiarato che il business per la compagnia si sta complicando.

Più in particolar nel 2016 le vendite di velivoli sono scese di quattordici unità a 748 rispetto all’anno precedente. Ma ancor peggio si sono delineati gli ordini, che nel 2016 hanno segnato il livello più basso dal 2010 e sono calati del 13% sul 2015, quando erano crollati del 53% rispetto al 2014.

In realtà, quando l’economia tira anche il traffico aereo dovrebbe beneficiarne e viceversa quando la crescita economica langue. Il fatto che la performance di Boeing sia così modesta non è un segnale incoraggiante per il futuro.

Ma gli esempi non si fermano ai due colossi del Dow Jones.

Petco, il fornitore di alimenti per animali, ha dichiarato che taglierà 180 posti di lavoro, dei quali cinquanta nel quartier generale di San Diego.

Anche in questo caso, in periodi di ristrettezza economica le spese per gli animali domestici vengono ridotte. Una conferma che il quadro generale non è così entusiasmante come viene dipinto dai media finanziari.

In generale, la visione è anche assai influenzata dal distretto nel quale un cittadino risiede. New York e San Francisco sembrano città dalla prosperità infinita, avulse da un contesto rurale come quello dell’area degli Appalachi o del Midwest settentrionale nei quali sembra che la recessione non sia mai terminata e dove milioni di americani hanno spese superiori rispetto al loro stipendio.

Il “gap” tra ricchi e poveri si è ulteriormente allargato negli ultimi decenni. L’uno percento della popolazione guadagna oggi una media di 1,3 milioni di dollari all’anno, il triplo rispetto ai $428.000 degli anni ottanta.

All’opposto, il 50% della cittadinanza a stelle e strisce registra un reddito medio di sedicimila dollari, la stessa cifra del 1980.

Il mercato del lavoro è molto flessibile negli Stati Uniti, rispetto al resto del mondo, e rende più facile ritrovare un nuovo posto di lavoro, una volta perso.

Tuttavia, dall’inizio della grande Recessione, solo il sette per cento tra coloro che hanno perso il lavoro ha trovato un impiego con una remunerazione pari o superiore alla precedente.

COMMENTO

Le condizioni economiche e la crescita americana sono sembrate stabili nel 2016, ma lo scenario di fondo continua a deteriorarsi. E così anche i debiti privati (può interessare anche: USA – I DEBITI PRIVATI CONTINUANO A CRESCERE) sono tornati ai livelli del 2008; un segnale preoccupante sullo stato della salute finanziaria del cittadino medio statunitense.

E tale sintomo di disagio si è riflesso anche nell’elezione alla Casa Bianca di Donald Trump. Evento imprevisto, ma concretizzatosi poiché ha saputo catalizzare intorno a séil malcontento ed il malessere economico della stragrande maggioranza del Paese.

Chi invece lo ha osteggiato si colloca prevalentemente nelle fasce costiere più ricche (California e New York) da dove è emerso un plebiscito a favore della candidata concorrente, che tuttavia non le è stato sufficiente per vincere.

L’elezione del nuovo Presidente ha poi generato un entusiasmo considerevole, forse eccessivo, nella speranza che le sue ricette possano realmente stimolare un’economia da quasi un decennio in stagnazione.

Ma ora siamo giunti alla fine dei sogni e nella settimana dell’investitura del nuovo presidente le speranze dovranno essere tramutate in provvedimenti concreti. Ed il tutto dovrà avvenire molto velocemente per non deludere i milioni di americani che hanno dato fiducia a Trump come presidente della rinascita americana.