La riforma fiscale di Trump

C’è molta attesa sui mercati per la presentazione della riforma fiscale della nuova amministrazione repubblicana prevista durante il discorso dell’Unione il prossimo 28 febbraio.

Il solo annuncio ha già provocato un panico di acquisti a Wall Street con gli indici principali che hanno tutti registrato otto giornate di record consecutivi ad un ritmo incalzante mai visto in precedenza.

Abbassare le tasse ai cittadini è formalmente molto semplice, ma sostanzialmente assai complicato. I benefici per il settore privato dovranno, infatti, essere compensati con un taglio della spesa spesa pubblica o con un aumento di altre imposte sempre nei confronti degli stessi beneficiari: i privati.

Il nuovo Presidente ha, infatti, meno margine di manovra di quanto si possa pensare, in quanto ha già ereditato dal suo predecessore un debito pubblico che sfiora i venti trilioni di dollari.

Non è facile, infatti, in queste condizioni finanziare una diminuzione delle imposte, il cui abbassamento ha positivi benefici sull’economia nel breve periodo a scapito di probabile rallentamento negli anni futuri.

Demagogia politica, di conseguenza, come si verifica anche nella maggior parte delle altre economie occidentali.

Tuttavia, il vero rischio per gli Stati Uniti è quello di un ampliamento del deficit che Obama è riuscito in parte a ridurre nel suo secondo mandato, dimezzandolo rispetto all’oltre un trilione di dollari realizzato nei quattro anni successivi la Grande Recessione.

Trump ha promesso opere pubbliche faraoniche, alcune delle quali necessarie per il ripristino di infrastrutture divenute in molti casi fatiscenti e non potrà pertanto fare molti sconti al settore privato. Di conseguenza, ciò che riuscirà ad elargire con la mano sinistra se lo riprenderà con la mano destra nel tentativo di soddisfare sia la platea elettorale che di contenere l’esplosione del debito pubblico.

L’incubo che spaventa gli economisti sono le proiezioni delle entrate nel lungo termine, difficilmente prevedibili con una riduzione dell’imposizione fiscale, come testimonia anche l’esperienza italiana che necessita frequentemente di manovre correttive.

Un taglio dei costi risulta invece banalmente più efficace per il bilancio pubblico, ma assai impopolare per chi lo propone.

Le previsioni ottimistiche di Trump sul lato della crescita al quattro per cento durante il suo mandato sembrano già irrealizzabili, mentre gli Stati uniti potrebbero anche cadere in recessione nella seconda parte dell’anno, secondo alcuni analisti. Un doppio segno negativo consecutivo del Pil trimestrale manca infatti dal 2009 e la sensibile riduzione dello stimolo monetario, associata ad un lieve rialzo dei tassi di interesse, potrebbero far deragliare la lunga ma fragile ripresa.

In verità, sarà assai probabile che il prossimo budget fiscale a stelle e strisce sia più “smoke and mirrors” (fumo negli occhi) che una vera riforma epocale, in quanto la spesa pubblica è destinata a crescere nei prossimi anni.

In definitiva, c’è da attendersi il solito rimescolamento di denaro per creare l’illusione che il fardello si restringa sia per il governo che per i privati, nello stesso momento nel quale probabilmente si dilata.