Oil&Gas – Il rialzo del petrolio spinge lo shale oil

Il colosso dello shale americano Halliburton intende rappoppiare il numero di impianti in funzione già nel primo semestre 2017 e per far ciò intende assumere 2.000 persone nel breve periodo. Notizia importante poiché evidenzia quanto la situazione per il mercato petrolifero sia ancora delicata. I produttori americani infatti continuano ad incrementare la produzione rischiando di infrangere i sogni di chi sperava in un bilanciamento di domanda e offerta già nella prima metà di quest’anno. Urge dunque l’accordo per l’estensione del tagli anche alla seconda metà dell’anno; i Paesi Opec discuteranno di questo importante tema in aprile. Intanto il prezzo del Wti è tornato sotto i 50 dollari al barile e lo scenario sembra complicarsi soprattutto per quelle realtà come Saipem che dipendono dagli investimenti delle big del petrolio. Società che difficilmente aumenteranno gli investimenti in questo clima di incertezza.

Halliburton, tra le multinazionali americane leader nella fornitura di petrolio tramite fracking, si sta espandendo più velocemente del previsto e prevede di assumere 2.000 nuovi lavoratori.

Decisione legata da una parte ai forti lavori di efficientamento e riduzione dei costi attuati dalla società e dall’altra dovuta all’ incremento dei prezzi del petrolio. Spariti i produttori meno efficienti, spazzati via dal crollo verticale dei prezzi del petrolio avvenuto nell’ultimo biennio, gli operatori rimasti sono riusciti ad adeguarsi al mercato ed ora riprendono più velocemente del dovuto la produzione.

Fonte: Aiaf

Lo scenario dunque sembra per questi produttori tanto migliorato che Halliburton prevede di raddoppiare i pozzi di pompaggio di oil, riattivando buona parte di quelli ancora fermi già nei primi 6 mesi dell’anno e non entro la fine del 2017 come previsto.

Una dinamica legata alla maggiore flessibilità dei produttori shale americani rispetto a quelli convenzionali. I primi infatti possono molto velocemente accrescere la produzione agendo come swing producer, potendo cioè attivare o disattivare a bassi costi gli impianti in qualsiasi momento, al contrario dei produttori convenzionali.

L’immagine sopra dovrebbe agevolare la comprensione di quanto detto. I produttori non convenzionali, come i produttori shale americani, hanno i costi concentrati in fase di avvio dei lavori ma riescono a portare la produzione a regime molto più velocemente di quelli convenzionali, arrivando a break-even prima e producendo cash flow positivi in tempi molto stretti. Ecco spiegato il perché della fretta di Halliburton di riportare a regime la produzione (dopo un biennio difficile) approfittando dei prezzi del petrolio su livelli più alti rispetto allo scorso anno. In pochi mesi queste società possono riattivare la produzione dai pozzi già creati e in meno di un anno si portano a regime impianti da zero.

E infatti, i tempi di reazione ai movimenti importanti del petrolio (come si vede dall’immagine sotto) sono stati abbastanza stretti, più o meno con un ritardo di 3-4 mesi. Per esempio, se il wti ha cominciato il rimbalzo dai minimi a metà febbraio 2016, i produttori del Nord America hanno cominciato da inizio giugno a rilanciare le attività (numero rig).

Fonte: Bloomberg

A circa due anni dall’operazione Saudita di incremento dell’offerta finalizzata a  portare fuori mercato i produttori americani possiamo dire che sicuramente ha avuto effetto (numero impianti di trivellazioni passati da oltre 2000 di fine 2014 agli attuali 994 unità), ma che ormai i produttori americani sopravvissuti stanno tornando sul mercato con forza.

Una resistenza, quella esibita dai produttori non convenzionali, dovuta ad alcune ragioni precise: miglioramento tecnologico nelle trivellazioni, che ha permesso di abbassare i costi e arrivare a gestire simultaneamente oltre 20 trivelle per area; l’abbassamento dei costi di trivellazione, scesi in alcune aree anche a 30 dollari al barile (Wti poco sotto 50 dollari); il fallimento degli operatori più inefficienti e il passaggio di tali pozzi a operatori di più grandi dimensioni quindi in grado di rimanere sul mercato anche in periodo di crisi.

Commento

La notizia è molto importante perché ci permette di capire quanto la situazione per il mercato del petrolio sia delicata in questo momento e quanto sia necessario che i produttori Opec e non-Opec trovino una quadra sull’estensione del taglio alla produzione per arrivare a bilanciare il mercato quest’anno.

Alcuni Paesi Opec e non solo, proprio negli ultimi giorni, hanno affrontato il tema dell’estensione dell’accordo del taglio dell’output anche nel secondo semestre 2017. Il progetto è stato messo nell’agenda del vertice Opec di aprile, ma non sarà facile trovare la quadra per questo taglio e riuscire a ingaggiare anche la Russia.

Una situazione delicata che rischia di ripercuotersi ulteriormente sulle quotazioni del greggio e, a cascata, sui titoli più sensibili all’andamento dei prezzi dell’oro nero, le oil services (come Saipem). Infatti i grandi produttori di società private o statali, difficilmente nell’incertezza attuale vorranno rilanciare gli investimenti nel settore, generando così scarse occasioni di business per le società di servizi.