Federal Reserve – I dubbi oltre il rialzo dei tassi

La scorsa settimana la banca centrale statunitense ha alzato come previsto i tassi di interesse portando la forchetta di riferimento tra l’1% e l’1,25%, il livello più elevato dall’ultima grave crisi economica.

Poiché i dati macro degli ultimi due mesi avevano già evidenziato un significativo rallentamento dell’economia americana, confermato anche dalla modesta crescita del primo trimestre dell’1,2%, i dubbi sulla mossa della Yellen si sono moltiplicati e diversi economisti hanno affermato che il rialzo fosse inappropriato, argomentando la loro tesi con diversi affermazioni. Tuttavia, la banca centrale non ha derogato dalle previsioni, principalmente per le seguenti motivazioni:

  • La Yellen ha rialzato le previsioni della crescita economica per l’anno in corso dal 2,1% al 2,2%, fiduciosa che il rallentamento di questi mesi sia solo temporaneo.
  • L’inflazione continua a superare il tasso previsto del 2% negli ultimi 18 mesi, ad eccezione dell’ultima rilevazione di maggio che si è attestata poco sotto (+1,9%).
  • I mercati azionari continuano a lievitare ed a frantumare i precedenti record, ormai quasi quotidianamente, e tale elemento preoccupa sempre di più il board della Fed, che lo ha in precedenza sempre minimizzato, affermando che non fosse competenza dell’autorità monetaria esprimersi sulle valutazioni di Wall Street. Tuttavia, questa evidente bolla preoccupa la banca centrale, al pari di quella immobiliare e di quelle creditizie (auto e student loans).
  • Di fronte ad un previsto ed ormai certo rallentamento dell’economia a stelle e strisce, la banca centrale necessita di rimpinguare le proprie munizioni per poter fronteggiare la prossima inevitabile, prima o poi, recessione. La presenza di tassi di interesse così bassi rende la sfida quasi proibitiva e per tale motivo la Yellen è costretta ad andare controcorrente.

In definitiva, anche le previsioni di crescita americane del secondo trimestre sono state recentemente riviste al ribasso dalla sede regionale della Fed di New York, passando dal 3% all’1,85%, un elemento che non sembra confermare le affermazioni della Yellen che la fase di debolezza sia solo transitoria.

In aggiunta, quello che preoccupa analisti e trader è stata la fretta nel dover comunicare l’uscita dal programma di espansione monetaria ultra convenzionale con la riduzione dell’attivo di bilancio che ha raggiunto i 4,5 trilioni di dollari, secondo una scaletta progressiva dal mese di settembre.

CONSIDERAZIONI

Già in passato avevamo espresso la considerazione che la Federal Reserve si trovasse in ritardo e fosse costretta ad inseguire un rialzo dei tassi di interesse che appare sempre di più inappropriato con il rallentamento del ciclo economico, che sembra giunto al capolinea dopo otto anni di espansione.

L’eccesso di liquidità prodotto dall’autorità monetaria non riesce più a produrre una spinta sull’economia americana soddisfacente, ma si rivela invece controproducente sulle attività finanziarie che continuano a lievitare, perdendo il contatto con i fondamentali dell’economia reale.

Infine, anche il mercato del lavoro in piena occupazione costringe la Yellen a perseverare nella politica restrittiva, malgrado il livello dei nuovi posti di lavoro sia poco soddisfacente in termini salariali.

Per tale motivo, il disagio della Federal Reserve di fronte ai continui record di Wall Street ed all’incremento dei prezzi degli immobili in alcune aree del Paese risulta sempre più evidente e la costringe ad intervenire in ritardo, alzando i tassi di interesse alla fine di un ciclo economico espansivo molto lungo, ma con poca crescita.

Di questo passo, la banca centrale sarà costretta ad alzare ancora i tassi nel corso dell’anno, almeno una volta, tra settembre e dicembre.