Banche – Quasi triplicato a 5,4 mld l’utile netto normalizzato nei 9 mesi 2017

Il comparto bancario, nel periodo gennaio-settembre 2017, ha realizzato nel suo complesso un margine di intermediazione in lieve calo a 40,5 miliardi (-2,7% a/a). Tale andamento è ascrivibile al perdurare dei bassi di interesse, i cui effetti sono stati in gran parte compensati dall’aumento delle commissioni nette. La flessione del margine di intermediazione, unita a costi operativi scesi meno che proporzionalmente, ha condotto a una leggera diminuzione del risultato lordo di gestione (-6,7% a/a a 16,4 miliardi). Notevoli i progressi sulle rettifiche su crediti, che, al netto dei 3,9 miliardi di accantonamenti straordinari riferiti a Mps, hanno riportato una contrazione del 36,9% a/a a 7,5 miliardi, denotando un miglioramento della qualità dell’attivo delle banche italiane rispetto al passato. L’utile netto, escludendo gli impatti delle componenti straordinarie positive e negative di Mps, il contributo statale da 3,5 miliardi a Intesa e la plusvalenza da 2,1 miliardi di Unicredit, è quasi triplicato a 5,4 miliardi.

Nella tabella sottostante vengono analizzati a livello aggregato i risultati relativi al periodo gennaio-settembre 2017 delle banche quotate a Piazza Affari.

Il margine di intermediazione aggregato delle banche quotate a Piazza Affari, nei primi nove mesi del 2017, è leggermente calato rispetto allo stesso periodo del 2016, fissandosi a 40,5 miliardi (-2,7% a/a). Tale dinamica è imputabile a una generalizzata flessione del margine di interesse legata al perdurare di una situazione di bassi tassi, quasi interamente compensata da una crescita delle commissioni nette.

Tra gli istituti di credito più grandi questo trend va per la maggiore. Tra le big, Mps merita una citazione a parte, in quanto ha recentemente effettuato una ricapitalizzazione precauzionale con intervento pubblico dopo aver ottenuto il via libera dalla Commissione Ue. La banca senese ha riportato una contrazione del margine di intermediazione a 3,2 miliardi (-5,7% a/a), risentendo della diminuzione sia del margine di interesse sia delle commissioni nette nella fase di incertezza dei mesi scorsi, in larga parte compensati dalla crescita dei profitti da trading che includono però componenti one off per 503 milioni legati all’operazione di burden sharing.

Tra le Mid Cap buoni risultati a livello di ricavi sia per Popolare di Sondrio (+1,2% a/a a 664,6 milioni) sia per Credem (+5,1% a/a a 851,1 milioni). Entrambi gli istituti hanno beneficiato della tenuta del margine di interesse e della crescita della componente commissionale.

Nello Small Cap, tra le banche prevalentemente retail Creval ha registrato una contrazione del margine di intermediazione a 296,3 milioni (-47% a/a), legata alla decisione della banca di contabilizzare tra i profitti da trading i 229 milioni di minusvalenze generate dalla cessione del pacchetto da 1,4 miliardi di crediti problematici. In riduzione a 402,8 milioni il margine di intermediazione di Carige (-14,8% a/a), mentre molto più contenuto è risultato il calo per quello di Banco Desio a 298,7 milioni (-2,6% a/a).

La flessione del intermediazione, combinata con la riduzione meno che proporzionale dei costi operativi, ha portato a una lieve diminuzione del risultato lordo di gestione aggregato (-6,7% a/a a 16,4 miliardi). Nel computo dei costi bisogna considerare l’incidenza degli oneri di sistema, che hanno impattato in particolare su Intesa Sanpaolo.

Le rettifiche su crediti aggregate sono scese di poco a 11,4 miliardi (-4,3% a/a), considerando i 3,9 miliardi di accantonamenti straordinari relativi alla cartolarizzazione dei 26 miliardi di npl in seno a Mps. Escludendo questa componente, le rettifiche su crediti diminuiscono in maniera significativa (-36,9% a/a a 7,5 miliardi).

Nel Ftse Mib la riduzione più significativa delle rettifiche su crediti è di Ubi (-67% a/a), anche se va precisato che i primi nove mesi del 2016 rifletteva la scelta aziendale di innalzare i livelli di copertura. Rilevante diminuzione anche per Banco Bpm (-48,8% a/a), anche se il periodo gennaio-settembre 2016 recepiva l’aumento delle coperture dei crediti deteriorati, anche per attenersi alle richieste della Bce per dare l’ok alla fusione tra Banco Popolare e Bpm. Riducono gli accantonamenti anche Unicredit (-30,1% a/a) per merito soprattutto della cessione del portafoglio da 17,7 miliardi di npl, e Intesa (-18% a/a). In lieve controtendenza Bper (+3,1% a/a), che risente però di 62 milioni legati a componenti non ricorrenti.

Nel Mid Cap la maggiore diminuzione è imputabile a Popolare di Sondrio (-25,5% a/a) seguita da Credem (-17,1% a/a). Tra le Small Cap si segnala la contrazione degli accantonamenti di Carige (-25,2% a/a) e di Banco Desio (-26% a/a), mentre la sostanziale stabilità di quelli riferiti a Creval (-0,7% a/a) in seguito alla suddetta scelta aziendale in merito alla contabilizzazione delle minusvalenze sul portafoglio di npl ceduto.

Tali dinamiche hanno spinto l’utile netto aggregato ad attestarsi a 7,7 miliardi (1,9 miliardi nel periodo di confronto). Non includendo nel computo le voci straordinarie legate a Mps, i 3,5 miliardi di contributi pubblici ricevuti da Intesa nell’ambito dell’acquisizione degli asset delle venete e la plusvalenza da 2,1 miliardi di Unicredit derivante dalla cessione di Pioneer, l’utile netto aggregato sarebbe stato pari a 5,4 miliardi, quasi triplicato rispetto ai primi nove mesi del 2016.

Nel Ftse Mib si segnala il rilevante balzo a livello bottom line di Unicredit (+45,5% a/a 2,5 miliardi escludendo la plusvalenza di Pioneer) e la crescita di Intesa a 2,5 miliardi (+5,7% a/a) al netto del contributo pubblico da 3,5 miliardi. Ubi e Banco Bpm sono tornate in utile rispettivamente per 112,3 milioni e 52,7 milioni. Il risultato netto di Bper è salito a 149 milioni per la contabilizzazione del badwill creatosi dall’acquisizione di Carife.

Nel Mid Cap buona performance dell’utile netto per Popolare Sondrio (+6,7% a/a a 112,3 milioni). Rilevante quella di Credem (+42% a/a 146,5 milioni).

Tra le Small Cap Creval ha aumentato il deficit a 402,6 milioni (rosso di 136 milioni nei primi nove mesi del 2016), mentre Carige ha ridotto la perdita netta (-6,1% a/a a 210,4 milioni). In contrazione l’utile netto di Banco Desio (-26,1% a/a a 26,9 milioni).

In termini patrimoniali, al 30 settembre gli impieghi e la raccolta crescono rispettivamente del 2,2% a 2.076,3 milioni e del 2,8% a 1.944,2 milioni rispetto a fine 2016.