La debolezza dei Paesi emergenti e l’impatto sui mercati

Sono ormai alcuni mesi che il vento sui mercati emergenti, sia azionari che obbligazionari, ha iniziato a cambiare direzione con un importante deflusso di capitali verso investimenti più sicuri.

Le performance spettacolari realizzate su alcuni mercati, ed in particolare successivamente all’elezione di Trump, hanno lasciato spazio ad importanti correzioni come quella dell’indice di Shanghai che da inizio anno ha perso oltre il 15 per cento.

LE ORIGINI DELLA DEBOLEZZA

Da inizio anno, ed in particolare negli ultimi tre mesi, diverse valute nazionali hanno rallentato nei confronti del dollaro. I problemi interni sono stati messi a nudo dalla rivalutazione del biglietto verde e dal rialzo dei tassi Usa.

Peso argentino (-30%), lira turca (-24%), real brasiliano (-14%), al pari del peso messicano e del rand sudafricano (-14%), sono stati anch’essi travolti dalla corrente della valuta statunitense.

Ma la furia del dollaro non ha lasciato indenni nemmeno le divise dell’Europa dell’Est, dalla Polonia alla Russia, dall’Ungheria fino alla Cechia con alcune di queste divise che si sono già svalutate anche del dieci per cento rispetto al biglietto verde.

La pressione si è estesa fino alla Cina ed ora anche alla rupia indiana, in un contagio che non appare più a macchia di leopardo ma che si è esteso a livello planetario. Negli ultimi giorni anche la banca centrale vietnamita è dovuta intervenire a difesa del dong.

A preoccupare i mercati sono anche le contromisure prese dalla Cina con una svalutazione che sembra pilotata per contrastare i dazi americani.

Nelle ultime sei settimane, lo yuan è così scivolato di quasi l’otto per cento nei confronti della divisa americana.

 

L’IMPATTO SUGLI ALTRI MERCATI

Sicuramente anche le schermaglie di una guerra commerciale planetaria, scatenata dagli Stati Uniti, hanno avuto un riflesso negativo su diverse asset class ed in particolare sui mercati azionari mondiali.

In secondo luogo, molti listini dei Paesi emergenti avevano realizzato guadagni eccessivi negli ultimi venti mesi e una correzione poteva anche essere fisiologica.

I deflussi di capitali registrati in uscita dalle economie emergenti, nelle ultime settimane, sono risultati i più elevati degli ultimi due anni e rischiano di mettere ulteriormente sotto pressione valute, azioni ma anche obbligazioni.

IL RUOLO DELLA FED

Diversi governatori delle banche centrali dei Paesi emergenti hanno chiesto alla Fed, anche senza mezzi termini, di attenuare il ritmo dei rialzi dei tassi di interesse allo scopo di non compromettere ulteriormente questo fragile equilibrio. Un’ulteriore rivalutazione del dollaro metterebbe infatti in pericolo qualche trilione di debito corporate nella divisa americana, che rischia di andare in default con la penalizzazione sia del cambio sia dei tassi di interesse sempre più elevati.

Difficile che Washington si possa fermare di fronte solo ad alcuni timori e a qualche tensione sui mercati, soprattutto fino a quando l’economia americana continuerà a correre oltre il due per cento e con l’inflazione sotto controllo.

I Paesi emergenti dovranno, di conseguenza, correggere individualmente i loro eccessi che ciclicamente accumulano proseguendo, in maniera ordinata, nello sgonfiamento progressivo di alcune bolle come sta già avvenendo da diverse settimane.