Morgan Stanley – L’opinione del gestore Christina Chiu sui mercati del real estate e delle infrastrutture

Un fondo che investe in real estate e infrastrutture con l’obiettivo di garantire agli investitori ritorni in linea o superiori a quelli del mercato immobiliare e dei beni reali, ma con alcuni vantaggi. Una liquidabilità giornaliera, una diversificazione globale degli asset e l’accesso ad alcuni beni a cui un privato difficilmente potrebbe accedere. Market Insight ha chiesto a Christina Chiu, gestore del comparto LUX IM Morgan Stanley Global Real Estate & Infrastructure Equity Fund, qual è la sua opinione sui mercati del real estate e delle infrastrutture

Il fascino del mattone e dei beni reali. Una asset class che, soprattutto per gli investitori italiani, ha da sempre rappresentato un sicuro rifugio per i propri risparmi e per la quale il principale canale di accesso è stato l’investimento diretto in immobili.

Da alcuni anni, tuttavia, l’acquisto della casa come investimento ha iniziato a presentare alcune insidie. A partire dalla bolla immobiliare americana che ha sconvolto il sistema finanziario mondiale, alcune storiche dinamiche del mercato del real estate sono state messe in discussione.

L’investimento diretto, soprattutto in Italia, presenta alcuni rischi legati all’andamento di lungo periodo del mercato immobiliare della Penisola. Il trend di crescita, che a partire dagli anni ’50 fino ai massimi toccati nel 2007 ha premiato l’acquisto nel mattone, si è interrotto e ora l’investitore, oltre a non avere certezza sull’apprezzamento del bene, deve gestire le problematiche relative al rendimento, connesse al costo fiscale, alla manutenzione e relative all’eventuale morosità degli affittuari.

Per questo, negli ultimi anni, si è sempre più diffusa la scelta di investire nel settore del real estate tramite fondi specializzati. Questi prodotti offrono una serie di vantaggi. Innanzitutto presentano un andamento dei ritorni legato al mercato dove investono e quindi al settore immobiliare, fornendo un apprezzabile grado di de-correlazione dalle tendenze dei mercati finanziari. Rispetto all’investimento diretto, offrono il vantaggio di liquidabilità dell’investimento che può essere venduto in ogni momento, mentre dismettere un immobile presenta tempistiche a volte imprevedibili.

Inoltre permettono all’investitore una diversificazione del portafoglio immobiliare inimmaginabile per un privato e garantiscono l’accesso a beni che per le dimensioni o per le caratteristiche non sono acquistabili direttamente.

Market Insight ha chiesto a Christina Chiu, gestore del comparto LUX IM Morgan Stanley Global Real Estate & Infrastructure Equity Fund della Sicav lussemburghese LUX IM lanciata da Banca Generali, quali sono le proprie aspettative sui settori degli immobili e delle infrastrutture mondiali.

Quali sono le caratteristiche del fondo e in quali asset class investe?

Christina Chiu

Il fondo investe in beni tangibili che producono cash flow e che forniscono una valorizzazione quotidiana di modo da garantire la liquidabilità dell’investimento. All’interno del settore dei beni reali, il focus del fondo è concentrato sul comparto del real estate e su quello delle infrastrutture.

Il nostro obiettivo è massimizzare il ritorno di lungo periodo, per questo cerchiamo di acquistare i titoli nel momento migliore, quando presentano uno sconto tra il valore intrinseco dei beni sottostanti, che costituiscono gli asset della società quotata, e il valore che esprime il mercato, per ottenere un ritorno uguale o superiore a quello dell’investimento diretto.

Come fate a determinare questo valore?

Abbiamo un modello di valutazione da noi sviluppato che ci permette di calcolare il valore intrinseco dei beni del portafoglio, elemento che determina l’andamento della società quotata, salvo discrepanze di breve che costituiscono le opportunità per la gestione attiva.

Il nostro modello somma alla valutazione degli asset tutte le componenti che potrebbero determinare un accrescimento in futuro e quindi per esempio una stima sul valore degli sviluppi o quella del bene alla fine del periodo di investimento. Questo insieme, detratto indebitamento e componenti negative, ci dà quello che secondo noi è il valore del bene fisico in portafoglio.

Quando per esempio incontriamo il management di una società e ci fa una buona impressione perché ha molti progetti e una strategia interessante, cerchiamo sempre di dare una quantificazione in termini di valore prospettico di queste potenzialità. Se infatti si paga troppo un investimento è poi difficile garantire il ritorno per gli investitori.

I Reit (Real Estate Investment Trusts) hanno reso come asset class circa il 10% in un’ottica di lungo periodo (15-20 anni) battendo altre categorie di investimento come azioni e obbligazioni. Nel breve periodo, al contrario, hanno fatto peggio. Cosa dobbiamo aspettarci per il futuro?

I Reit hanno avuto una performance particolarmente importante in passato perché a partire dalla fine degli anni ’90 c’è stato un boom di questo tipo di fondi che ha coinciso con una rotazione secolare degli investimenti verso questi strumenti. Un fenomeno importante che adesso sta vivendo il settore delle infrastrutture che si trova nel bel mezzo di questo trend fondamentale e che rappresenta un elemento favorevole da tenere in considerazione.

Per quanto riguarda i Reit da qui in avanti mi aspetto che il loro rendimento possa collocarsi a metà strada tra quello dei bond e quello delle azioni. Direi che una performance del 6% media possa essere coerente con le aspettative che rileviamo per il mercato degli scambi reali.

Chiaramente si tratta di un dato composto che assorbe le oscillazioni che possono avvenire in un arco di tempo più breve. Come per esempio è stato nei primi mesi di quest’anno. L’andamento nel primo trimestre ha registrato un calo del 10-12%, legato anche ai timori per gli effetti dell’incremento dei tassi, che è stato assorbito nel secondo trimestre portando la performance dei primi sei mesi al -1%.

Un rendimento simile, quindi “high single digit”, tra il 6% e il 9%, lo attendiamo anche per il settore delle infrastrutture.

Qual è la vostra attuale asset allocation?

Attualmente circa il 50% del fondo è investito in titoli del settore immobiliare, mentre la restante parte è investita in azioni del comparto infrastrutture. L’allocazione corrisponde a quella considerata neutrale, ma deriva dal fatto che si sono in contemporanea create occasioni di acquisto in entrambi i segmenti del fondo.

Il comparto real estate ha un po’ sofferto nella prima parte dell’anno. Ritenete sia il momento di acquistare?

Nel complesso riteniamo che il settore dei Reit Usa tratti alla pari rispetto al Nav, che si confronta invece con un dato storico di un premio del 7%. Tuttavia, questo dato medio deriva da situazioni decisamente differenti all’interno del comparto, dove vi sono realtà che trattano decisamente a sconto rispetto al Nav.

È proprio in queste fasi in cui risulta particolarmente efficace la gestione attiva poiché consente di acquistare asset con sconti notevoli. Col nostro fondo siamo in grado di acquistare posizioni che presentano sconti anche del 20%, senza un incremento del rischio poiché si tratta di società con portafogli di ottima qualità. E la necessità di una gestione attiva si sente ancora di più per alcune ragioni tecniche.

E cioè?

La diffusione delle gestioni passive con fondi che investono semplicemente replicando i benchmark fa sì che gli acquisti avvengano senza alcun tipo di selezione amplificando le opportunità di mercato per chi invece analizza il valore fondamentale degli asset delle varie società.

Quali sono in questo momento i segmenti su cui avete puntato nel real estate?

Siamo sovrappesati ad Hong Kong dove riteniamo vi siano ancora sconti notevoli rispetto al Nav soprattutto nel settore commerciale, dove gli scambi continuano a essere sostenuti. Siamo sovrappesati anche sugli Stati Uniti, in particolare riteniamo interessante il segmento degli uffici a New York, quello delle mall e degli appartamenti.

Infine riteniamo che i timori sulla Brexit abbiano creato qualche opportunità anche in Gran Bretagna. Per quanto riguarda, invece, Giappone ed Europa siamo sottopesati in quanto mercati che in questa fase non presentano notevoli sconti.

E nel settore delle infrastrutture dove ritenete vi siano le migliori opportunità?

In questo momento vediamo la maggiore crescita nel comparto delle infrastrutture per i trasporti.

Le valutazioni sono a sconto e vi sono segnali di crescita da tutti i punti di vista: aumenta il traffico sulle strade, quello negli aeroporti, le miglia viaggiate e così via. Anche in questo comparto, è necessario essere selettivi poiché anche se l’Irr (Internal rate of return) medio è piuttosto alto, vi sono situazioni all’interno ben differenti.

Ci piace molto il settore delle rinnovabili su cui prevediamo un’interessante crescita, mentre riteniamo meno attraente il settore in generale delle utilities.

Siamo sottopesati nel settore delle comunicazioni perché riteniamo che i prezzi scontino già le potenzialità, mentre per le infrastrutture energetiche siamo sottopesati sulle condutture di petrolio, ma riteniamo vi siano alcuni interessanti investimenti nel settore dell’acqua in UK.

Quello che è importante ricordare ancora per il settore delle infrastrutture è la crescita degli operatori specializzati in questo tipo di settore affiancata dalla scarsa presenza ancora nel portafoglio delle gestioni che creerà maggiore domanda sui titoli del settore. In particolare alcuni private equity potrebbero decidere di investire in società quotate se non trovassero occasioni sul primario.

In vista di un possibile incremento dell’inflazione ritiene che il settore possa presentare un maggiore appeal?

Sì senz’altro. Questo è un tema a cui sono molto sensibili gli investitori e l’andamento del fondo è direttamente correlato con quello degli asset sottostanti al portafoglio in cui investiamo. Si tratta di beni fisici che rappresentano un investimento difensivo in caso di una ripresa dell’aumento dei prezzi.