Petrolio – Il possibile ruolo degli Etf sul prezzo del barile

L’industria degli Etf, fondi a gestione passiva indicizzati ormai quasi all’intero universo investibile, ha assunto proporzioni gigantesche. Si pensi che solo negli Usa, dalla loro prima comparsa, la sola tipologia di questo tipo di fondi che investe in strumenti di debito (obbligazioni tipicamente) è passata da un portafoglio complessivo di poco meno di 4 trilioni di dollari nel terzo trimestre del 2002 agli oltre 503 trilioni nel primo semestre di quest’anno (fonte Federal Reserve di Filadelfia).

Un recente report della agenzia governativa dell’energia americana EIA sottolinea il peso crescente dei gestori di questi fondi anche sul mercato del petrolio, in particolare sul Wti (West Texas Intermediate), la qualità scambiata al NYMEX, il principale mercato mondiale per i future e le opzioni sui prodotti energetici.

Guardando ai report che vengono settimanalmente prodotti dalla US Commodity Futures Trading Commission e che registrano le posizioni, oltre un soglia significativa, aperte tanto lunghe che corte (acquisti e vendite scoperte), il cosiddetto “open interest”, si legge come circa un terzo delle stesse fa riferimento ad operatori petroliferi propriamente detti (produttori, trasformatori ecc) mentre il restante è suddiviso tra operatori finanziari, con una netta prevalenza dei money managers (gestori di fondi) per le posizioni lunghe e degli swap dealers (operatori professionali nella trasformazione dei rischi) per quelle corte.

Questo dato semplificato ci porta a riflettere sul ruolo che gli Etf stanno giocando e continueranno a fare in futuro specie in relazione alla possibile crescita del peso delle attività alternative nei portafogli degli investitori istituzionali e retail. Nel caso degli Etf che, come detto, sono per definizione fondi replica, a gestione passiva, e sono scambiati al pari delle azioni la posizione tendenzialmente in acquisto deriva dalla crescita delle masse, come potrebbe invertirsi in ipotesi di diminuzione delle stesse.

Ne sottolineiamo quindi il ruolo di amplificatore del movimento di mercato secondo un inevitabile processo di auto alimentazione a spirale di cui l’esperienza su altre categorie di attivi suggerisce una prudente diffidenza.

A sostegno dell’opinione qui espressa, si riporta il grafico del l’andamento del contratto future sul Wti su tutte le scadenze future trattate in quattro momenti diversi: oggi, un mese, tre mesi e sei mesi fa.

Si nota con evidenza come recentemente (curve gialla, oggi, e verde, il mese scorso) il future quoti in “backwardation” ossia con i prezzi dei contratti a scadenza più vicina più elevati di quelli futuri, situazione anomala considerando che la normalità è il “contango”, vale a dire una curva crescente dei prezzi (curva rossa, agosto 2017) che rispecchia il costo dello stoccaggio e il costo finanziario (tenuto conto che negli Usa abbiamo tassi d’interesse positivi anche nel breve).

La situazione di backwardation si giustifica quando vi è un eccesso di domanda a pronti tale per cui i compratori sono disposti, per ragioni svariate, a pagare un prezzo più elevato per disporre della merce da subito. Questo non significa certo che il motivo debba specificamente ritrovarsi nell’attività dei gestori dei fondi, ma un loro contributo non è da escludersi.