Leonardo Del Vecchio, il patron di Luxottica, ha dimostrato un’altra volta di essere un grande imprenditore, indipendentemente dalle motivazioni reali che stanno dietro l’ultima sua grande creatura. E l’operazione Luxottica-Essilor lo dimostra.
Una realtà da 50 miliardi di capitalizzazione, olte 15 miliardi di ricavi e 3,5 miliardi di Ebitda sulla base dei dati aggregati 2015. Un leader globale in un comparto con grandi potenzialità ed ove la famiglia Del Vecchio deterrà la quota di maggioranza relativa compresa fra il 31 ed il 38% a seconda del successo dell’Ops che la holding francese Essilor lancerà su Luxottica dopo aver ricevuto dalla finanziaria di famiglia, Delfin, il 62% delle azioni della multinazionale italiana.
Tutto bene, quindi, ed un altro incontestabile successo di un imprenditore che rappresenta, oggi ancor più di ieri, la punta di diamante di una realtà imprenditoriale che nel nostro Paese resta forte, consapevole e determinata nel perseguire il percorso di crescita ben sapendo che le sfide sono sempre più globali e quindi le aziende devono essere globali per poterle vincere.
Luxottica-Essilor rappresenta quindi, qualora non sorgano ostacoli alla sua formalizzazione, un valido esempio di quel grandioso saper fare che l’Italia ha saputo mettere in campo nel momento della ricostruzione post bellica, e nell’era della industrializzazione, ma nello stesso tempo fa emergere tre grossi limiti. Tre grosse lacune che rischiano di trascinare il Paese in modo irreversibile verso la deriva, oppure ne possono rappresentare il punto da cui partire per il riscatto: la debolezza dei nostri mercati finanziari, l’assenza dello Stato, la mancanza di un “Sistema Paese” in grado di elaborare una visione sul futuro.
Con Luxottica-Essilor esce infatti dall’orbita della Borsa Italiana, o almeno di quanto ancora di essa esiste, un’altra società di grandi dimensioni del Ftse Mib, dimostrando ancora una volta il basso appeal che il nostro mercato finanziario rappresenta per la finanza globale e per gli imprenditori globali. Un colpo duro, che ci meritiamo in quanto ben poco abbiamo fatto in questi ultimi lustri per rendere appetibili e fruibili i mercati finanziari milanesi.
Con Luxottica-Essilor emerge con ancora maggiore forza cosa significhi negli attuali contesti macro-economici e geo-politici la totale assenza di uno Stato e di un Governo in grado di fare da riferimento ai suoi cittadini ed alle sue imprese. Una realtà capace di confrontarsi alla pari con gli altri Paesi membri dell’Unione Europea e che possa svolgere un ruolo nel panorama mondiale, magari anche accompagnando e sostenendo il sistema economico e le sue aziende nel mondo come fanno i nostri “competitors”.
Con Luxottica-Essilor si fa strada con violenza l’assenza di un “sistema Paese” in grado di elaborare una visione chiara sul futuro; visione su cui convogliare le forze migliori per ridare all’Italia il suo ruolo nel mondo. Un “Sistema Paese” ove la componente industriale gioca un ruolo fondamentale, come fondamentale è quella classe dirigente che però stenta a manifestarsi anche se in luce se ne percepiscono le potenzialità.
Ed è proprio su queste tre lacune, o su questi tre limiti, che possiamo e dobbiamo ripartire. La nostra Italia ha le forze, le capacità e le energie necessarie per risorgere, ma i tempi stringono ed il contesto ci impone di agire. Nel nostro Paese continuano infatti a sussistere quei tre elementi fondamentali da cui ripartire: il tessuto di piccole e medie imprese, il risparmio delle famiglie e un sistema bancario rinnovato.
Ci sono infatti una pluralità di piccole e medie aziende che hanno le caratteristiche per essere accompagnate lungo un percorso di crescita sana e sostenibile. Realtà industriali nelle quali l’operosità dei nostri concittadini dimostra quotidianamente la superiorità delle nostre doti “naturali” quali la creatività e la capacità di soddisfare le esigenze dei clienti con soluzioni costruite su misura, come un abito sartoriale, grazie all’ingegno che sappiamo mettere in campo per risolvere i problemi.
C’è poi un sistema bancario al cui interno si sono creati dei campioni, non solo e non esclusivamente nazionali, guidati da manager capaci e determinati. Istituti di credito in grado di supportare la crescita delle aziende e del sistema Italia, creando nel contempo un altro tassello di quel mosaico con cui comporre un modello di business redditizio e sostenibile. Un sistema bancario da cui partire per ridare forza e vigore anche a quei mercati finanziari che oggi soffrono pesantemente l’abbandono in cui si trovano ad operare.
C’è infine un risparmio delle famiglie fra i più consistenti del mondo e stimato in quasi il doppio del nostro enorme debito pubblico e quasi tre volte se consideriamo anche gli asset immobiliari come le case. Una massa di denaro su cui costruire la rinascita dei nostri mercati finanziari senza per questo intaccare la doverosa ripartizione del rischio nell’allocazione delle risorse. Una massa di denaro in attesa di quelle condizioni che rendano appetibile approdare su quelle aziende che il sistema bancario nel frattempo supporta nella loro crescita.
In buona sostanza il nostro Paese non ha le carte per recitare da primattore su un palcoscenico sempre più globale, ma può ritagliarsi un ruolo non necessariamente secondario in Europa e pure nel mondo se lo Stato e la sua classe dirigente troveranno il coraggio di svolgere finalmente il proprio ruolo, mettendo in campo tutte le scelte necessarie per quella rinascita che i nostri concittadini si meritano.