Per ora sono solo scaramucce e indiscrezioni. Ma il confronto che vede al centro Generali e come attori colossi dal calibro di Allianz, Axa, Intesa Sanpaolo, Mediobanca e Unicredit potrebbe scivolare anche in guerra, pur sempre finanziaria, visto il desolante scenario lasciato aperto dalle istituzioni. Governo e Consob in primis.
La conquista delle Generali è sempre stato un tema di grande interesse per la finanza italiana, anche perché coinvolge in primo luogo quella che una volta era il crocevia della finanza e non solo di essa: Mediobanca. E nel consiglio di Mediobanca siedono alcuni di coloro che hanno ravvivato il mesto scenario italiano degli ultimi mesi.
Vincent Bolloré, ad esempio, ha conquistato il controllo di Telecom e poi ha acquistato sul mercato quasi il 30% di Mediaset alla ricerca di un accordo transfrontaliero per ora negato. Ma Bolloré è il pupillo di Claude Bébéar, il gran capo di Axa e cioè la compagnia additata di voler conquistare Generali, magari con l’avallo di Mediobanca guidata da Alberto Nagel come raccontano le cronache. E Mediobanca è una degli artefici dell’operazione Luxottixa-Essilor, che di fatto trasferisce in terra francese la guida del nuovo colosso.
Ed il patron di Luxottica, Leonardo Del Vecchio, riemerge pure in Generali come il secondo azionista con oltre il 3% ed è anche socio illustre di Unicredit, uno dei primi azionisti di Mediobanca con oltre l’8 per cento. Un intreccio interessante anche per i profani della finanza.
Ma procediamo con ordine ricordando che, a parte i silenzi della Consob, le attuali indiscrezioni non colgono impreparato il mercato, da mesi affollato di voci su un possibile interessamento da parte del colosso assicurativo francese Axa nei confronti della compagnia italiana. Tuttavia, la mossa repentina rappresentata dall’acquisto dei diritti di voto sul 3,01% di Intesa realizzata ieri dal gruppo di Trieste ha spiazzato molti osservatori.
Innanzitutto perché rappresenta una conferma implicita di scenari finanziari che potevano sembrare mere ipotesi di ragionamento e non concreti piani operativi. Così non è. Anche se non è trapelato nulla di ufficiale e i protagonisti non hanno rilasciato dichiarazioni, una società non metterebbe 1,2 miliardi sul piatto, cifra che rappresenta l’esborso per Generali per convertire in acquisto il prestito dei diritti di voto sui 505 milioni di azioni, solo sulla base di voci.
Lo scenario che vede un epico scontro in atto tra la francese Axa, che vorrebbe conquistare Generali, per raggiungere la leadership del mercato assicurativo europeo, e Intesa che parrebbe interessata a intervenire in difesa della italianità del gruppo, considerato strategico per il suo peso nel panorama finanziario italiano, visto che possiede asset finanziari per 500 miliardi, di cui 70 miliardi rappresentati da titoli di Stato.
A questo punto però sorge un dubbio sulle ragioni per le quali di fronte a uno scenario del genere il management di Generali si debba schierare contro Intesa. Ci si può chiedere quali siano le ragioni per cui Philippe Donnet scelga di mantenere la propria vulnerabilità di fronte a un’eventuale scalata da parte di Axa, togliendo di mezzo un possibile concorrente.
Una mossa poco comprensibile anche perché da parte del management di una società ci si possono attendere due atteggiamenti. Il primo è la difesa degli interessi degli azionisti. In questo caso garantire la massima contendibilità del titolo darebbe la prospettiva di un migliore apprezzamento delle azioni, che rappresenta l’obiettivo dei soci. Nel secondo caso potrebbe prevalere il desiderio di preservare l’indipendenza della società per realizzare il proprio business plan, ma anche in questa prospettiva non appare chiaro l’atteggiamento del management.
Nonostante la smentita di Donnet, che, in una conferenza lo scorso mese di settembre, ha dichiarato senza mezzi termini di non avere allo studio alcun progetto di fusione né con Axa né con altri, le ipotesi di un suo coinvolgimento in un progetto di aggregazione con il colosso transalpino non sono cessate.
Donnet è stato addirittura definito come il cavallo di troia dei francesi dentro il fortilizio di Trieste. Una tesi legata non solo alle prime scelte effettuate dal manager, che ha alle spalle una lunga carriera in Axa e che proprio dalle fila della compagnia francese ha chiamato come nuovo capo della divisione Global Business e International l’ex responsabile di Axa per l’Italia e sempre tra le fila della compagnia francese ha scelto il nuovo responsabile degli investimenti, altra figura chiave per le Generali.
Ma le ragioni dei sospetti sulla figura di Donnet sono soprattutto dovute allo stretto legame con Bébéar, finanziere francese e fondatore di Axa e mentore del bretone Bolloré, che ha sostenuto nella scalata a Vivendi. E proprio Bolloré è uno dei protagonisti della campagna di conquista francese in terra italiana. Oltre alle mosse su Mediaset dove è salito a poco meno del 30% per tentare di sottrarre il gruppo televisivo a Silvio Berlusconi, Bolloré ha significative partecipazioni in ambito finanziario. Fa parte del sindacato di controllo di Mediobanca di cui possiede l’8,3% e detiene una partecipazione dello 0,13% direttamente in Generali.
Se i dubbi su Donnet trovano supporto nella sua storia oltre che nelle recenti mosse, non è chiara la posizione di un altro dei protagonisti della vicenda, cioè l’Ad di Mediobanca, Alberto Nagel. Mediobanca infatti è il principale azionista di Generali con una quota pari al 13%. E’ inevitabile chiedersi da che parte intenda schierarsi nella vicenda. I rumor indicano Nagel come uno dei possibili sostenitori delle ambizioni di Bolloré che è il suo principale azionista. Tuttavia anche in questo caso c’è da chiedersi quale sia il vero interesse da parte della banca di piazzetta Cuccia. E la risposta, anche in questo caso, si gioca sottilmente tra l’obiettivo di vedere apprezzato il proprio asset, rappresentato dalle azioni Generali, e il ruolo di banca d’affari pivot del sistema, che quindi deve quadrare i propri interessi economici con un lucido esame delle scelte più opportune per il sistema finanziario italiano.
Infine altro ruolo non di secondo piano è quello svolto da Unicredit, ora guidata dal francese Jean Pierre Mustier, un elemento che lo aveva fatto additare come un possibile sostenitore delle mire di Parigi in Italia, anche dopo la cessione della società di asset management Pioneer alla transalpina Amundi. Sospetti che il manager ha negato con decisione. E a rendere più credibile il suo ruolo di indipendente ha lanciato parole piuttosto dure nei confronti di Mediobanca, definita da Mustier la 15esima banca di Unicredit, il cui valore è ancora decisamente inferiore a quello di carico per cui il manager ha affermato che vigilerà a stretto giro sul lavoro della banca di piazzetta Cuccia richiamata a un miglioramento della propria redditività, appello rivolto anche alla controllata indiretta Generali.