I principali listini del Vecchio Continente chiudono la seduta perlopiù in territorio positivo, recuperando le perdite della mattinata dopo l’intervento di Mario Draghi a margine della riunione della Bce.
Il Ftse Mib di Milano archivia le contrattazioni in rialzo di mezzo punto percentuale a 19.571 punti, sostanzialmente allineato al Cac 40 di Parigi (+0,4%), mentre l’Ibex 35 di Madrid accumula un guadagno dell’1,4 per cento. Più arretrati il Dax di Francoforte a +0,1% e il Ftse 100 di Londra, che lascia sul campo lo 0,3 per cento.
Il presidente della Bce ha specificato che i tassi rimarranno a zero, se non più bassi, per un periodo che potrebbe andare oltre quello previsto per il Quantitative easing, ovvero dicembre 2017.
Draghi ha inoltre confermato che dal prossimo aprile il programma di acquisti verrà ridotto a 60 miliardi rispetto agli attuali ottanta, ribadendo che le misure potranno essere estese fino al raggiungimento di un livello adeguato dell’inflazione, anche se ulteriori stimoli non sembrano più essere urgenti e lo spettro della deflazione pare essersi allontanato.
Il presidente vede infatti meno rischi per la congiuntura economica dell’Eurozona, e ha evitato il riferimento ad utilizzare ‘tutti gli strumenti a disposizione’.
L’istituto centrale ha inoltre alzato le stime sull’inflazione all’1,7% nel 2017 e all’1,6% nel 2018, mentre la previsione è invariata all’1,7% nel 2019. Riviste al rialzo anche le stime sul Pil, a 1,8% nel 2017 e 1,7% per il 2018, mentre per il 2019 le attese sono invariate (1,6%).
Le parole di Draghi hanno dato impulso all’euro, risalito a 1,058 dollari. In calo lo yen, che cede lo 0,3% sul biglietto verde (USD/JPY a 114,7) e lo 0,6% sulla moneta unica (EUR/JPY a 121,3).
Fra le materie prime il petrolio torna a ridosso dei minimi della mattinata, con Brent e Wti in calo di oltre due punti percentuali rispettivamente a 51,9 e 49,1 dollari al barile.
L’oro nero, già in ribasso di oltre cinque punti percentuali ieri, è tornato sotto quota 50 dollari al barile per la prima volta dal meeting Opec del 30 novembre, reagendo in maniera brusca all’ennesimo incremento delle scorte statunitensi.
Le ragioni della contrazione potrebbero però essere più profonde, dato che i Paesi Opec non sembrano intenzionati ad estendere i tagli nel secondo semestre 2017 e gli americani continuano ad incrementare la produzione shale. Nonostante ciò, le importazioni nette in Usa non calano ma aumentano, il che fa pensare che l’aumento delle scorte di greggio possa perdurare.
Sul fronte macro le richieste settimanali di sussidi di disoccupazione negli Stati Uniti sono aumentate più del previsto (+243 mila unità vs 238 mila del consensus). Il tutto in attesa della pubblicazione dei non farm payroll di domani, che dovrebbero certificare l’ipotesi di un aumento dei tassi Fed nella riunione di settimana prossima.
Ipotesi che continua a pesare sui metalli preziosi, con l’oro sceso in area 1.204 dollari l’oncia e l’argento in calo a 17,13 dollari.
Sull’obbligazionario, infine, le parole di Draghi affossano i prezzi dei titoli di Stato, con il rendimento del decennale tedesco che risale a 43 centesimi e quello del Btp a 2,3%, mentre lo spread si incrementa a 187 punti base.
A Piazza Affari chiudono positivi i bancari, tra cui spiccano BPER (+3,3%), UBI (+3,2%), MEDIOBANCA (+2,6%) e INTESA (+2,5%).
Scivolano in fondo al listino i petroliferi, penalizzati dal crollo dell’oro nero delle ultime due sedute, con TENARIS a -3,2% e SAIPEM a -2,7 per cento. Chiude a -0,7% ENI, che con ExxonMobil ha firmato un accordo di compravendita che consente all’americana l’acquisto della partecipazione del 25% da Eni nell’Area 4, nell’offshore del Mozambico, un deal da 2,8 miliardi.
Vendite anche su STM (-2,7%), in scia alle voci di possibili ritardi nelle forniture di componenti per Apple. L’accordo con la Mela non è mai stato confermato ufficialmente ma è stato uno dei driver che hanno sostenuto il titolo nelle ultime settimane.
Sottotono anche FCA (-1,3%), dopo che ieri Volkswagen ha negato una possibile fusione tra i due gruppi.