La frattura tra il principale azionista e l’Ad di Carige sul piano che avrebbe dovuto risollevare l’istituto genovese appesantito da un fardello di crediti deteriorati e da conti in rosso apre uno scenario dai contorni indefiniti. E’ fondamentale che non si verifichi una fase di stallo che possa aggravare la situazione in atto. Tuttavia, la debolezza di governance e l’esigua capitalizzazione potrebbero attrarre anche un investitore estero.
La crisi al vertice che si è evidenziata in Carige pone seri quesiti su quali scenari si apriranno per l’istituto di credito genovese. La banca presenta notevoli fragilità alle quali l’Ad ha provato a rispondere predisponendo un piano industriale, la cui implementazione è ancora tutta da dimostrare e che avrebbe dovuto ricevere il via libera esecutivo dal cda di ieri. Il perno del progetto era infatti rappresentato dalla scissione del portafoglio sofferenze e dal connesso aumento di capitale che al momento sono stati fermati.
D’altronde misure per risollevare l’andamento dell’istituto sono urgenti. La fotografia sullo stato di salute di Carige emersa dalla trimestrale, mostrava ancora tutte le criticità che l’Ad era stato chiamato ad affrontare. A cominciare dall’eccessiva esposizione verso i crediti deteriorati che avrebbe dovuto trovare una soluzione proprio nell’operazione di derisking tramite la scissione del portafoglio sofferenze. A fine marzo il totale dei crediti deteriorati era infatti pari a 7,33 miliardi, invariato rispetto a fine 2016, pur con un incremento della copertura aumentata di un punto al 46,4 per cento. A livello reddituale, inoltre, c’è ancora da fare. Nonostante il lieve miglioramento dei ricavi rispetto a fine 2016, nei primi tre mesi la banca ha presentato un rosso per 41,1 milioni. Un risultato che, secondo le indiscrezioni, dovrebbe essere negativo anche per la semestrale. Infine, quanto a solidità patrimoniale la banca presentava a fine marzo un Cet1 del 10,9 per cento.
La via di uscita a questa crisi, individuata dall’Ad Bastianini, prevedeva lo scorporo di tutte le sofferenze da conferire a un veicolo finanziario le cui azioni sarebbero state assegnate pro quota agli attuali azionisti di Carige. A ciò si dovrebbe aggiungere una cartolarizzazione da 940 milioni di sofferenze, la cui realizzazione ha ricevuto il via libera dal cda e che porterebbe il livello delle sofferenze a 2.895 milioni dai 3.853,6 milioni a fine marzo 2017. Di queste 2.400 milioni sarebbero oggetto della scissione, permettendo alla banca di arrivare a un totale di npl pari a 3.993 milioni, avvicinandosi con anticipo l’obiettivo fissato dalla Bce di un massimo di crediti deteriorati pari a 3.700 milioni entro il 2019.
Tuttavia, è proprio nei dettagli di questa operazione e delle modalità e ammontare del connesso aumento di capitale che si è aperto lo scontro tra Malacalza e l’Ad. In particolare, il principale socio non avrebbe ricevuto sufficienti garanzie sulle caratteristiche del veicolo finanziario a cui saranno conferite le sofferenze. Inoltre, la ricapitalizzazione comporterebbe la conversione in azioni del subordinato T1 da 160 milioni, che porterebbe ad una diluizione della quota di maggioranza di Malacalza. Tra le altre accuse, sempre secondo rumor finanziari, vi sarebbe una lentezza nell’esecuzione del piano per quanto riguarda gli aspetti più gestionali e di taglio dei costi.
Nonostante le pesanti divergenze, il momento non è esattamente dei più appropriati per rimanere senza una persona al timone dell’istituto. Un’evidenza sulla quale non può non avere riflettuto anche Malacalza che, come primo azionista dell’istituto, è colui che più risente del drammatico calo delle quotazioni. Secondo diverse indiscrezioni, il valore di carico dell’imprenditore si aggirerebbe attorno agli 1,7 euro per azione per un investimento complessivo pari a 263,5 milioni. Agli attuali corsi di Borsa il pacchetto del 17,59% di Malacalza vale circa 34,5 milioni, che implica una minusvalenza di 229 milioni. Per queste ragioni alcune fonti sono convinte che il vice presidente si presenterà all’appuntamento del 9 giugno in cui il cda si riunirà nuovamente per decidere sulle sorti dell’Ad con una soluzione che preveda la nomina di un nuovo manager.
A complicare lo scenario bisogna ricordare che, mentre il Gruppo è impegnato in una complessa partita finanziaria e di governance, sullo sfondo continuano a gravare le numerose cause legali e risarcitorie nei confronti di ex manager e delle società coinvolte nella vendita della compagnia di assicurazione del Gruppo Amissima al fondo Apollo.
Una situazione di debolezza sulla quale potrebbero innestarsi gli appetiti di un gruppo estero, complice la bassa capitalizzazione del titolo in Borsa, dove quota meno di 200 milioni.