Si profila un accordo con le autorità europee per il salvataggio delle banche venete. Una notizia sicuramente positiva per il sistema e per gli obbligazionisti delle banche venete. Bisognerà attendere i dettagli sull’eventuale coinvolgimento di altri istituti nel salvataggio per valutare costi e benefici anche per questi ultimi.
Dall’incontro tra il ministro dell’Economia Per Carlo Padoan e gli esponenti della Commissione Europea sono giunti commenti rassicuranti su una soluzione delle banche venete che non preveda il sacrificio di azionisti e obbligazionisti.
Una notizia positiva per chi si trova in portafoglio azioni o bond emessi dai due istituti e che fa tirare una boccata d’aria al comparto tricolore, che vede allontanarsi il timore di una possibile risoluzione di uno dei due istituti, con gli imprevedibili esiti per il resto del sistema. Il settore bancario, dopo la notizia, segnava un rialzo dello 0,9 per cento.
Unicredit e Intesa, tuttavia, appaiono compresse. Prima di tornare a comprare, gli investitori vogliono vedere nel concreto quale e in che forma sarà l’eventuale coinvolgimento degli altri istituti nell’ambito di tale salvataggio.
Nei giorni scorsi erano circolate indiscrezioni su una possibile suddivisione pro quota tra le banche tricolore degli 1,2 miliardi di capitali richiesti ai privati dalla Dg Comp europea per dare il via libera all’operazione che prevede una ricapitalizzazione complessiva per 6,4 miliardi, di cui 5,2 a carico dello Stato. Un’ipotesi che ha visto subito il rifiuto da parte di molti istituti, tra cui per esempio Banco Bpm, alle prese con la propria ristrutturazione.
Gli unici due attori che non hanno escluso un coinvolgimento sono Unicredit e Banca Intesa. In particolare, nonostante l’Ad Carlo Messina abbia in numerose occasioni escluso la volontà di partecipare a nuovi salvataggi di concorrenti, secondo fonti di stampa, avrebbe ieri portato all’attenzione del cda la proposta della partecipazione ad una soluzione di sistema.
Anche da parte di Unicredit potrebbe essere accolta l’adesione ad un disegno a sostegno delle due venete.
Non a tutti piace questa ipotesi, che da un certo punto di vista garantisce gli investimenti di chi ha acquistato, in modo consapevole o meno, titoli di banche in difficoltà a detrimento di chi ha gestito i propri soldi in modo più attento, comprando azioni o bond di banche che vanno bene. E anche dal punto di vista industriale le banche sane pagherebbero per quelle mal gestite.
Tuttavia, il sostegno delle venete è un costo che potrebbe valere la pena di sostenere da parte di Intesa e Unicredit, anche a vantaggio dei propri azionisti, poiché contribuirebbe a minimizzare i rischi di sistema che toglierebbero la cappa di diffidenza che penalizza il comparto bancario italiano.
Se per Montepaschi e per le venete si trovasse una soluzione grazie all’intervento dello Stato, si eviterebbero i gravi contraccolpi economici su tutto il sistema finanziario ed economico italiano che sarebbero causati da una risoluzione bancaria, con un costo tutto sommato inferiore a quanto messo da altri Paesi. Pensiamo per esempio alla Germania, che ha sborsato 250 miliardi di fondi pubblici per mettere in sicurezza il proprio sistema bancario, contro i 20 miliardi previsti nel complesso dal fondo salva-banche tricolore.
La crisi delle banche venete, nata dal mancato successo degli aumenti di capitale varati all’inizio dello scorso anno e garantiti da Unicredit e Intesa, alla fine graverà sui bilanci di queste ultime. Intesa aveva concesso una garanzia all’aumento di Veneto Banca per un miliardo, alla fine ha versato già 850 milioni, svalutati al 70%, e ha un impegno finanziario fino a un miliardo, incluso quanto già conferito. Unicredit, invece, aveva garantito l’aumento di capitale della Banca Popolare di Vicenza per 1,5 miliardi. Ha già versato 850 milioni ad Atlante, svalutati all’80%, ed è esposta fino a un miliardo, anche in questo caso includendo la quota già fornita. Con un nuovo eventuale contributo per la ricapitalizzazione, la cifra versata per la crisi delle venete si avvicinerebbe all’esborso necessario all’epoca per la garanzia dell’aumento della vicentina.
Dal punto di vista finanziario, tuttavia, l’impatto delle due diverse soluzioni è completamente diverso. L’accollo dell’istituto veneto avrebbe comportato un impatto sui risk weighted asset troppo pesante per la salute di Unicredit l’anno scorso. Ora, dopo il rafforzamento patrimoniale di 13 miliardi e il favore da parte della comunità finanziaria, l’istituto può permettersi di svolgere il ruolo di pivot del sistema, anche perché l’operazione potrebbe essere strutturata in modo da non intaccare il profilo di solidità.