L’Eia (Energy Information Administration) ha pubblicato uno studio interessante sulle società di produzione shale americane quotate in borsa.
Il report prende in considerazione le 54 società più grosse e quotate operanti nel comparto oil&gas americano soprattutto in bacini onshore. Solo alcune operano anche nel Golfo del Messico, Alaska e altre regioni del mondo. Nel complesso questi operatori producono circa 5,3 milioni di barili al giorno, rapresentando così all’incirca il 56% della produzione americana del primo trimestre 2017.
Lo studio evidenzia che questi operatori stanno ripagando e dunque riducendo i debiti bancari anche se i flussi di cassa sono schiacciati dai costi più elevati. In particolare lo studio analizza i risultati del primo trimestre 2017 evidenziando come queste società stiano poco alla volta ripangando i debiti e finanziando i nuovi investimenti attraverso la vendita di asset e aumenti di capitale. Cambiano dunque le politiche di queste società che negli ultimi anni si sono finanziate tramite debito portando il rapporto net debt to equity a livelli altissimi (vedi immagine sotto).
Sebbene le entrate di questi operatori siano aumentate nel corso del 2016 grazie all’incremento delle quotazioni del petrolio, i flussi di cassa da attività operative sono cresciute, ma in proporzione molto meno, a causa dei maggiori costi operativi. Quanto detto trova conferma nel fatto che, mediamente, la differenza tra ricavi e flussi di cassa operativi di queste 54 società (per barile oil) è passato da circa 18 dollari al barile del primo trimestre 2016 a 23,3 dollari al barile del primo trimestre di quest’anno. Detto in altre parole circa un terzo dell’incremento anno su anno del fatturato per barile, legato all’incremento del prezzo del petrolio (da 23 dollari ala barile a 37 dollari b), è stato necessario per pagare l’aumento dei costi operativi.
In particolare le spese per E&P (esplorazione e produzione) sono state di circa 16 miliardi nel primo trimestre 2017, ovvero 8 miliardi meno che nel 2012 ma 3 miliardi superiori a quelle del pari periodo dello scorso anno. Molte delle 54 società del paniere osservato hanno annunciato l’intenzione di aumentare gli investimenti nel corso dell’anno in impianti per la perforazione di nuovi pozzi. Dal 2012 al 2015 la principale fonte di finanziamento era il debito bancario (55,3 miliardi di dollari di debito netto cumulato) tanto che, come si nota dalla figura sopra il rapporto debito/equity era cresciuto parecchio. Con le migliorate condizioni di mercato, nonostante la situazione sia ancora molto difficile, diverse aziende del comparto sono tornate agli utili. Il focus ora è di ridurre il debito portando ad un rafforzamento patrimoniale. Nel periodo la leva finanziaria è scesa dal 88% del 1° trimestre 2016 al 80% del primo tromestre di quest’anno.
In quest’ottica le imprese del settore stanno generando cassa attraverso la vendita di asset non strategici ed a minor valore aggiunto per reinvestire nelle aree di business con breakeven point più bassi. Ne è un esempio Anadarko Petroleum, che ha venduto 2,3 miliardi di dollari di attività di Eagle Ford a Sanchez Energy e Blackstone Group. Altre tre società hanno seguito l’esempio per un totale di 500 milioni di cessioni e il colosso americano ConocoPhilips ha annunciato un importante deal con la cessione di un giacimento canadese (sabbie bituminose che hanno costi di produzione altissimi e livelli di break even ancora ben al di sopra dei prezzi del petrolio attuali). In questo modo questi giganti stanno ristrutturando il proprio portafoglio di produzione per investire in aree in cui avranno maggiori vantaggi competitivi.
L’articolo mette in luce come effettivamente le condizioni di mercato per questi operatori siano migliorate nel 2016 grazie all’incremento del prezzo del petrolio e alla riduzione dei costi di produzione. Queste società dunque non sembrano per niente intenzionate a frenare l’output, stanno solo ricollocando gli investimenti su asset più profittevoli.
Non sembra dunque finita la corsa della produzione americana che ha tempi molto più rapidi rispetto ai produttori convenzionali per passare dallo sviluppo del giacimento alla produzione (circa un anno per shale contro diversi anni per produttori tradizionali, vedi grafico sotto). Se dunque quest’anno hanno avviato gli investimenti, è possibile pensare che già dall’anno prossimo se ne possano vedere i riflessi in termini di produzione.