L’economia a stelle e strisce è la prima al mondo sia in termini di sviluppo tecnologico sia digitale, mentre continua a essere la culla delle più famose startup in questi settori avanzati.
In passato nel Paese sono nate società del calibro di Google, Microsoft, Facebook e Apple, solo per citare alcune delle più note ormai a livello planetario.
Alcune di queste società di servizi sono state il motore dell’economia interna negli ultimi anni, sostituendosi alla locomotiva manifatturiera che aveva trainato la ripresa post bellica ma che successivamente aveva trovato la strada della delocalizzazione in Asia e in America Latina, alla ricerca di costi del lavoro più contenuti in grado di mantenere un elevato livello di profitti che Wall Street ormai pretendeva in via continuativa.
Negli ultimi cinquanta anni, l’incremento di produttività della prima economia mondiale è andato a scapito degli aumenti salariali per poter tenere testa alla rapida crescita della potenza cinese che sfruttava costi del lavoro molto bassi e non replicabili sia negli Stati Uniti sia nelle principali economie sviluppate.
Dalla delocalizzazione alla globalizzazione il passo è stato molto breve con l’apertura di multinazionali presenti in tutto il Mondo e con prodotti standardizzati ovunque da Coca Cola a McDonald’s, sicuramente le pioniere più note, che hanno dato lavoro a migliaia di persone ma con salari molto contenuti sia in patria sia all’estero.
Da inizio secolo, i nuovi attori del lavoro low cost sono state alcune compagnie aeree e la più nota Amazon che è esplosa per dimensioni nell’ultimo lustro, per finire al recente boom di Uber, il vettore di trasporto locale su quattro ruote che sta rivaleggiando con il modello più desueto del vecchio taxi.
Il dilemma degli economisti sta nella valorizzazione di decine di migliaia di nuovi posti di lavoro a salari intorno al minimo garantito, i quali non sono sufficienti a garantire la sopravvivenza economica di chi li percepisce e che li costringe a cercare soventemente un secondo lavoro, anch’esso sottopagato.
Tale politica ha contribuito ad ampliare i divari salariali tra il 10% della popolazione più benestante e il rimanente 90% che non ha beneficiato della stessa crescita dei redditi negli ultimi quarant’anni.
Nelle ultime quattro fasi di espansione, la prima fascia ha sorprendentemente superato la seconda e anche con evidente margine grazie all’ingegneria finanziaria dell’economia rispetto all’industrializzazione post bellica. Infine, nell’ultimo ciclo successivo alla Grande Recessione, il divario è diventato ancora più netto e strutturale portando a una distruzione di reddito per la fascia più estesa superiore al 10% negli ultimi cinque anni, ma compensata da un incremento superiore al 100% per i più abbienti.
La deflazione da salari è un problema non recente ma dell’ultimo trentennio. Nei primi venti anni, la delocalizzazione verso la Cina ed il Sud Est asiatico ha portato a una riduzione dei posti di lavoro nei Paesi sviluppati e a una diminuzione della crescita dei redditi più bassi.
Ora, da inizio millennio siamo nella seconda fase ancora più dolorosa con società che hanno sempre più una funzione monopolistica, del tutto incontrastata dai governi, e che sono in grado di imporre stipendi molto bassi.
Amazon e Uber sono una componente significativa di questo nuovo modello economico. Hanno dato lavoro a decine di migliaia di persone che forse, diversamente, non l’avrebbero trovato ma a condizioni non sufficienti per garantire un’indipendenza economica.
Meglio un lavoro che non averlo si può sostenere banalmente, ma gran parte delle nuove buste paga create dal 2008 in avanti non hanno migliorato o perlomeno mantenuto inalterati i redditi delle famiglie statunitensi.
In una società come quella americana, nella quale i consumi sono il perno principale della crescita del Paese, i privati sono costretti a indebitarsi per mantenere lo stesso standard di vita precedente, anche se sembra che questa politica non sia stata ancora sufficiente per riportare la crescita economica ai fasti del precedente millennio.
Non ci dobbiamo, di conseguenza, scandalizzare se la crescita americana sia mediamente solo del due per cento dal 2009 a oggi, la più bassa registrata in periodi di espansione dalla seconda guerra mondiale, malgrado una banca centrale – la Federal Reserve – abbia cercato di agevolare la ripresa riducendo i tassi a zero e iniettando nel mercato finanziario oltre quattro trilioni di dollari con esiti, tuttavia, più favorevoli per la finanza rispetto all’economia di strada.