Il ruolo dell’Europa nella crisi catalana

Si è capito, da un po’ di tempo a questa parte, che le situazioni di crisi non destano più preoccupazione per i mercati. Il rischio politico che era additato fino a un anno fa come la variabile che avrebbe potuto destabilizzare le previsioni rosee per il 2017 si è praticamente volatilizzato. O meglio, si è manifestato in maniera anche pesante, ma non ha fatto la paura che si temeva potesse incutere.

L’elenco delle situazioni di crisi è lungo a livello internazionale e anche, più modestamente, domestico, ma l’effetto il medesimo. L’ultima, nell’ordine, a risonanza quanto meno europea, è la crisi catalana i cui sviluppi immediati sono oggi affidati alle mani di un, non invidiabile, giudice belga chiamato a stabilire la procedibilità o meno del mandato d’arresto internazionale, quelli più a lungo termine di un popolo che dovrà esprimere il proprio autentico volere nella segretezza dell’urna tra poco più di un mese.

Sembra un problema circoscritto alla penisola iberica, ma non lo è. Non lo è dall’inizio e non solo perché alcuni esponenti politici hanno trovato ospitalità in un altro paese dell’Unione che, guarda caso, da sempre deve fare fronte ai problemi di convivenza al suo interno di due popolazioni differenti. Lo è perché da oltre trent’anni la Spagna è paese membro dell’Unione Europea e perché quest’ultima non può sospendere il proprio giudizio trincerandosi dietro il principio della non ingerenza negli affari interni di un suo paese membro.

Difficile immaginare uno scenario alternativo senza conseguenze perniciose, se non si riuscirà ad aprire per tempo una fase negoziale sotto l’egida di Bruxelles, come sineddoche dell’Europa. Il collante dell’Unione non può essere fatto solo di tassi bassi e moneta comune.