È ormai passata quasi una settimana da quando il CdA di Astaldi ha alzato il velo sul nuovo piano industriale e svelato i dettagli dell’imminente aumento di capitale da 300 milioni, nel quale entreranno la giapponese IHI e JP Morgan nel ruolo di Sole Global Coordinator.
Da quel momento il titolo ha messo a segno una serie di sedute al ribasso, che alla chiusura di ieri facevano segnare un -10,7%, tanto da perdere quanto guadagnato nella settimana precedente sui rumors, poi confermati, dell’ingresso di IHI nel capitale. Da inizio anno le azioni del gruppo romano presentano ancora un incremento del valore di circa il 10%.
L’incertezza del mercato è ovviamente legata all’execution del piano e in particolare, come già evidenziato, alle condizioni sospensive verso l’impegno del consorzio, guidato da J.P. Morgan, alla sottoscrizione delle azioni di nuova emissione eventualmente residuate.
Tutto sembra girare attorno alla cessione del Terzo Ponte sul Bosforo, in pancia ad Astaldi per 350 milioni, prima di una serie di dismissioni che sono fra i punti cardine della Manovra di rafforzamento patrimoniale da oltre 2 miliardi.
La presenza di un’offerta vincolante ricevuta da Astaldi è infatti una delle condizioni sospensive per l’impegno del consorzio guidato da JP Morgan a sottoscrivere le azioni di nuova emissione eventualmente residuate ad esito dell’offerta in opzione e della successiva offerta in borsa.
Inoltre, da quanto si evince dalla lettura dei patti parasociali, la cessione del Ponte è anche fra le condizioni dell’Accordo di Investimento sottoscritto fra Astaldi e IHI per l’ingresso della giapponese nel capitale sociale della società con una quota del 18,2 per cento.
La cessione della concessione per un corrispettivo minimo 185 milioni entro il prossimo 31 dicembre è infatti una delle nove condizioni che impediscono ad IHI per tre anni di traferire a terzi le azioni Astaldi. In caso di mancato avveramento di questo specifico punto, la giapponese avrà la facoltà di esercitare entro 20 giorni un’opzione di vendita nei confronti delle holding della famiglia Astaldi.
Un’altra condizione è l’ulteriore svalutazione, o azzeramento, al 31 dicembre 2018 dei crediti nei confronti del governo venezuelano. Riguardo a questo punto, il management, che si è costretto a svalutare nel 2017 crediti per oltre 230 milioni, ha infatti sempre mostrato ottimismo verso la riscossione dei crediti restanti, anche se i target indicati nel nuovo piano sono stati formulati escludendo l’apporto delle attività venezuelane.
Inoltre, ulteriori condizioni riguardano il flusso di cassa operativo, che non sia inferiore a 500 milioni per l’esercizio in corso e non inferiore a 75 milioni per gli esercizi successivi, che il rapporto fra capitale circolante netto e ricavi del gruppo non sia inferiore al 15% e che Astaldi non abbia violato i covenants dei contratti di finanziamento cui è soggetto a partire dalla fine di dicembre 2017 o i covenants che regolano i prestiti obbligazionari emessi dalla società.