Giuseppe Tesauro, presidente di Carige, è un fiume di parole per spiegare la propria decisione di lasciare la presidenza della banca ligure. In diverse interviste l’ex presidente della Consulta indica nel disaccordo con l’amministratore delegato, Paolo Fiorentino, le ragioni delle dimissioni.
Tesauro ha accusato Fiorentino di essere troppo accentratore. “Un uomo solo al comando”, l’ha definito. Una guida che spesso non è stata in linea con i desiderata dell’azionista di maggioranza, il gruppo Malacalza.
“Ho cercato di fare del mio meglio ma lui è un po’, come posso dire… svelto, ecco. Adesso bisogna vedere Malacalza cosa ne pensa, perché anche lui non era contento. Non lo era perché, in fin dei conti, Malacalza è il padrone, diciamo, di questa banca, non è che si può discutere. Invece Fiorentino fa tutto come se fosse un uomo solo al comando. E questo naturalmente irrita parecchio. Ripeto, l’uomo è bravo ma vuole fare tutto da solo senza dire niente a nessuno”, ha dichiarato in un’intervista Tesauro.
Tra i motivi di scontro le decisioni sulle dismissioni portate al consiglio all’ultimo e la questione della fusione con un altro grande gruppo, strategia di cui l’Ad era convinto ma che non era gradita al principale azionista e al presidente.
“Anche queste storie che escono sui giornali relative a fusioni con altre banche e così via: non ne abbiamo mai parlato. Io, poi, non avendo deleghe devo stare attento solamente al fatto che le cose si svolgano regolarmente. La gestione la fa la struttura, l’Ad”, ha aggiunto Tesauro.
Quanto al metodo di lavoro e al fatto di non sentirsi coinvolto nella gestione, l’ex presidente ha precisato: “L’amministratore delegato mi ha reso quasi impossibile il lavoro quotidiano. Ricevevo i documenti in ritardo quando erano necessari giorni per studiare le carte. Talvolta le delibere venivano portate direttamente al consiglio di amministrazione il quale veniva messo di fronte a decisioni già prese. Inoltre ha monopolizzato il dialogo con Francoforte, mentre a gestire i rapporti con la vigilanza ero io”.
La conclusione di Tesauro è che: “Il vero obiettivo dell’amministratore delegato è una public company in cui l’unico a contare sarebbe lui”.