Paolo Fiorentino, Ad di Carige, in un’intervista ha fornito il suo punto di vista dopo i recenti scossoni nella governance, non ultime le dimissioni di Vittorio Malacalza, che lo hanno visto direttamente chiamato in causa.
Il primo punto che il manager ha voluto sottolineare riguarda la sua posizione alla guida della banca. “Non intendo rimanere alla guida Carige a tutti i costi. Resterò se ci saranno le condizioni per portare avanti il piano di rilancio concordato con la Vigilanza di Bce, che punta a un’aggregazione in tempi ragionevoli con un altra banca. Ma la mia permanenza dipenderà anche dalla compagine azionaria”, ha affermato Fiorentino.
In merito alle dimissioni dal cda di Malacalza, primo azionista con il 20,6% e da poco vice presidente ad interim, il Ceo nell’intervista ha fatto presente che “è finito un ciclo che ci ha visti per quasi un anno sullo stesso fronte”. In riferimento alla presidenza ad interim assunta da Malacalza, Fiorentino ha sottolineato che nelle dichiarazioni rilasciate in proposito “intendevo evidentemente dire, e lo confermo, che non era un problema”.
Riguardo alle questioni sollevate sul livello troppo elevato dei costi e sulla mancata emissione del bond, l’Ad ha ricordato che “la banca è passata dai 715 milioni di ricavi del 2015 ai poco più di 500 milioni del 2017, a fronte del de-risking sul bilancio e una limitata disponibilità di capitale per la crescita. Con questa dinamica dei ricavi, il cost/income difficilmente può migliorare. Quanto al bond, l’emissione, necessaria, verrà lanciata non appena sul mercato ci saranno condizioni favorevoli anche ad emittenti con il nostro rating”.
Il manager, che ha negato la concessione di qualsiasi consulenza a Lanzalone, si è poi soffermato anche sulla cessione degli asset non core, in particolare sulla quota del 20% detenuta in Autostrada dei Fiori, precisando che “l’ipotesi di cessione è stata discussa cinque volte dal cda e non è mai stata deliberata. Si tratta di una partecipazione non strategica che, unitamente agli Npl, fa parte di un piano concordato con Bce e approvato dal cda per il rilancio di una banca che non è ancora uscita dalla crisi”.
Fiorentino, convinto che l’istituto possa rilanciarsi, ha fatto presente che la Bce continuerà a vigilare sull’implementazione del piano, anche alla luce dei recenti ribaltoni nel governo societario.
Nel frattempo, sono venuti alla luce maggiori dettagli sulle ragioni che hanno portato Malacalza a fare un passo indietro.
In sintesi, l’imprenditore ha sottolineato come alcune operazioni rilevanti siano state presentate al board in modo inadeguato, con documentazione carente e trasmesse in tempi insufficienti per fare una valutazione. Malacalza ha anche ribadito gli elevati costi sostenuti nell’ambito dell’aumento di capitale, nonché le proprie perplessità in merito agli accordi presi per cedere asset in cambio dell’impegno di alcuni operatori a sottoscrivere quote dell’aumento.
Inoltre, Malacalza ha puntato il dito anche contro la Bce, definendo improprie la richieste arrivate da Francoforte di non interferire con l’operato del Ceo.