Ubi ha archiviato un margine di intermediazione pari a 911,4 milioni (-3,1% annuo). Andamento dovuto al lieve calo delle commissioni nette a 400,6 milioni (-2,4%) in larga parte compensato dall’aumento del margine di interesse (+15,2% rispetto al secondo trimestre 2017). Il risultato netto di gestione si è attestato a 167,8 milioni (+119,7% rispetto al periodo di confronto). L’utile netto è stato pari a 91,2 milioni, dato non direttamente confrontabile con i 629 milioni registrati nel corrispondente periodo del 2017 che aveva beneficiato del badwill da 612,9 milioni generato dall’acquisizione delle tre Good Bank.
Il secondo trimestre 2018 di Ubi ha confermato le tendenze positive, sia in termini di ricavi sia di costi, già rilevate nei primi tre mesi dell’anno.
Il margine di intermediazione si è attestato a pari a 911,4 milioni (-3,1% a/a), mostrando una buona tenuta.
Il margine d’interesse ha toccato 458,4 milioni (+15,2% rispetto al periodo di confronto), supportato dalla crescita degli impieghi (+11% a/a a 395 milioni) e dalla riduzione del costo della raccolta. Positivo anche il contributo delle attività finanziarie (+43 milioni), grazie alla ricomposizione del portafoglio titoli che ha comportato nel trimestre un’ulteriore contrazione delle consistenze e la riduzione della sensitivity alla variazione degli spread.
Le commissioni nette sono leggermente scese a 400,6 milioni (-2,4% rispetto al periodo aprile-giugno 2017). La riduzione è da attribuire essenzialmente all’uscita di Ubi Intl, avvenuta nel novembre 2017 (-2,5 milioni), alla presenza di commissioni passive su cartolarizzazioni effettuate a fine 2017, dovute a partire dal 2018 (-4 milioni), e all’insussistenza di commissioni attive percepite su operazioni di finanza strutturata non ordinarie legate all’acquisizione delle 3 banche presenti solo nel 2017 (-5,8 milioni).
Il continuo controllo dei costi operativi ha determinato un calo degli stessi a 601,4 milioni (-5,5% rispetto al periodo di confronto). Nello specifico, le spese per il personale sono diminuite del 5,5% annuo a 374,3 milioni riflettendo la strategia di esodi volontari, mentre le altre spese amministrative, inclusive di contributi di sistema per 12,9 milioni, sono scese a 227 milioni (-5,5% a/a).
Grazie anche a rettifiche nette su crediti significativamente in calo a 142,3 milioni (-37,7% rispetto al secondo trimestre 2017), il risultato netto di gestione è più che raddoppiato a 167,8 milioni.
Dopo avere spesato oneri non ricorrenti relativi all’implementazione del piano industriale per 1,2 milioni (3,4 milioni nel periodo di confronto), il periodo si è chiuso con utile netto di 91,2 milioni. Il dato non è direttamente confrontabile con i 629 milioni riportati nel secondo trimestre, fortemente influenzato dall’inclusione del badwill generato dall’acquisizione delle tre Good Bank e pari a 612,9 milioni.
Sul fronte della solidità patrimoniale, il Cet1 fully loaded a fine giugno si è attesta all’11,42% (11,43% al 31 dicembre 2017), mentre quello phased all’11,78% (11,56% a fine 2017). L’allargamento dello spread ha impatto sulla riserva di valutazione del portafoglio titoli di proprietà per circa 56 punti base.