Atlantia – Cdp in Autostrade, la scelta migliore per il sistema Italia

Lo scorso 15 agosto il governo italiano ha annunciato l’avvio di una procedura finalizzata alla revoca della concessione ad Autostrade per l’Italia (Aspi,) a seguito del crollo del ponte Morandi di Genova che la mattina del 14 agosto è costato la vita a 43 persone.

Nella giornata successiva a questo annuncio, accompagnato da durissime dichiarazioni di importanti ministri dell’esecutivo italiano contro la stessa Aspi e la controllante Atlantia, le azioni di quest’ultima sono crollate del 22,3% a piazza Affari, in aggiunta alla perdita del 5,4% registrata il giorno della tragedia.

Nel tentativo di creare un canale di comunicazione con il governo, soprattutto con la parte rappresentata dal Movimento 5 Stelle che punta a nazionalizzare tutti i 3.020 chilometri di rete autostradale gestita in Italia da Aspi, il 18 agosto i vertici della stessa concessionaria coinvolta nel crollo del ponte del capoluogo ligure hanno convocato una conferenza stampa. Nel corso dell’incontro con la stampa è stato chiesto pubblicamente scusa per non aver fatto sentire prontamente la vicinanza della società alla città di Genova.

Nella stessa sede è stato poi annunciato lo stanziamento di mezzo miliardo di euro per la ricostruzione del viadotto crollato e delle case danneggiate, per gli aiuti alle famiglie di vittime e sfollati, ma anche per gli interventi su strade cittadine e trasporti pubblici con l’obiettivo di alleviare l’emergenza-traffico causata dalla tragedia del Ponte Morandi.

Senza dimenticare che al mezzo miliardo dovranno essere aggiunti i risarcimenti, nel momento in cui saranno accertate in via definitiva le responsabilità del crollo.

Fin da subito la somma messa a disposizione da Aspi è stata giudicata assolutamente insufficiente dal governo italiano che nel frattempo, cioè il 17 agosto, ha formalmente avviato il procedimento per la revoca della concessione con una lettera di contestazione alla quale la stessa controllata di Atlantia dovrà rispondere entro 15 giorni.

Il procedimento in esame durerà 5 mesi e se alla fine l’esecutivo guidato da Giuseppe Conte deciderà di revocare la concessione e non riconoscere l`indennità prevista dal contratto, il contenzioso legale potrebbe durare degli anni.

Aspi ha già sottolineato che anche nell’ipotesi di revoca o decadenza della concessione, secondo le norme e procedure nella stessa disciplinate, le spetta comunque il riconoscimento del valore residuo della concessione, dedotte le eventuali penali se e in quanto applicabili.

Nel frattempo, a piazza Affari le quotazioni di Atlantia hanno registrato delle oscillazioni abbastanza rilevanti in scia alle dichiarazioni più o meno concilianti dei diversi esponenti del governo italiano nei confronto della controllata Aspi, ma anche alle indiscrezioni di stampa che vedrebbero la discesa in campo di Cassa depositi e prestiti (Cdp).

Alla luce dell’assoluta incertezza sul futuro di Aspi, le quotazioni dei titoli della controllante guidata da Giovanni Castellucci non riescono, comunque, ad allontanarsi con decisione dai 18 euro, che significa una perdita del 27% del valore che avevano alla chiusura dello scorso 13 agosto.

Un possibile intervento di Cdp, attraverso l’ingresso nel capitale di Aspi, è stato finora negato dal Ministero dell’Economia, principale azionista del gruppo di via Goito con una quota dell’82,77% del capitale (il 15,93% è in mano a 61 Fondazioni di origine bancaria e l’1,3% è rappresentato da azioni proprie). Si tratta di un’ipotesi che al momento appare l’unica in grado di mediare la posizione dei 5 Stelle con quella dell’alleato di governo.

Il Movimento guidato da Luigi Di Maio punta, infatti, alla revoca di tutte le concessioni in mano alla controllata di Atlantia, pari alla metà della rete autostradale italiana, e al loro trasferimento a una società interamente controllata dallo Stato italiano e/o a un ente pubblico.

La Lega guidata da Matteo Salvini è, invece, a favore di una sana compresenza tra pubblico e privato, con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, che ha dichiarato di non essere persuaso che la gestione dello Stato garantisce maggiore efficienza nella gestione del servizio in esame.

L’ingresso del gruppo guidato da Fabrizio Palermo nella partita delle autostrade in Italia, oltre a mettere d’accordo le due forze politiche che sostengono l’attuale governo italiano, potrebbe essere ben vista dalle fondazioni bancarie presenti nel capitale di Cdp, ma anche dagli investitori internazionali che guardano con attenzione agli sviluppi di questa vicenda ai fini di valutare l’affidabilità dell’esecutivo e dell’intero sistema Italia.

Nel dettaglio, la fondazioni bancarie sono da sempre favorevoli a investimenti della Cassa depositi e prestiti in iniziative che garantiscono cedole stabili agli azionisti in quanto si pongono come obiettivo fondamentale della loro azione la tutela del risparmio degli italiani.

Cdp, infatti, gestisce circa 250 miliardi di euro di raccolta postale, che reimpiega nell’economia, scegliendo oculatamente la qualità degli investimenti.

Da rilevare al riguardo che il gruppo guidato da Palermo ha un portafoglio di partecipazioni azionarie quotate a Piazza Affari pari a un controvalore di quasi 25,5 miliardi e che nel complesso ha un profilo di rischio abbastanza contenuto. Nel dettaglio, Cdp detiene direttamente il 25,76% di Eni, il 35% di Poste Italiane e il 3,54% di Telecom Italia, mentre attraverso Cdp Reti (controllata di Cdp al 59,1%) possiede il 30,37% di Snam, il 29,85% di Terna e il 26,05% di Italgas. Senza dimenticare la partecipazione del 71,64% in Fincantieri, attraverso la controllata Fintecna, il 12,55% di Saipem, detenuto dal veicolo Cdp Equity e il 12,62% di Trevi Finanziaria Industriale, in mano alla controllata Fsi Investimenti.

Dall’analisi di questo portafoglio emerge l’importanza delle partecipazioni in società attive nei business regolati dell’energia, cioè nelle infrastrutture energetiche: Snam gestisce l’intera rete di trasporto del gas in Italia, Italgas è leader nella distribuzione del gas e Terna è il monopolista tricolore nella trasmissione di energia elettrica. In tutti e tre i casi, si tratta di gruppi che operano in un contesto regolatorio che assicura flussi di cassa stabili che consentono di programmare investimenti importanti, ma anche di offrire generosi e poco volatili dividendi agli azionisti.

Attraverso la quota di minoranza in Telecom Italia, e alla luce della joint-venture con Enel in OpenFiber, si può anche dire che Cdp ricopre già un ruolo da protagonista anche nelle cosiddette autostrade del futuro, cioè le reti a banda ultra-larga.

L’eventuale ingresso della Cassa depositi e prestiti in Aspi, anche nell’ipotesi di concessioni con ritorni molto meno favorevoli rispetto agli attuali, sarebbe un investimento perfettamente in linea con la dna del gruppo di via Goito e potrebbe consentire di completare il portafoglio di partecipazioni nelle principali reti infrastrutturali che percorrono l’Italia, cioè energia, banda ultra-larga e autostrade.

Dal punto di vista delle fondazioni bancarie sarebbe, quindi, più che benvenuto un intervento diretto di Cdp in Aspi piuttosto che in Alitalia, i cui ritorni difficilmente potranno essere positivi, o nell’Ilva.

Per quanto riguarda gli investitori internazionali ricordiamo che nel capitale di Atlantia sono presenti oltre a Sintonia della famiglia Benetton, primo socio con il 30,25% del capitale, e alla Fondazione Cassa di Risparmio di Torino (+5,06%), anche il fondo sovrano di Singapore, che detiene l’8,14% attraverso GIC Pte.Ltd, Hsbc Holding (5%), il colosso finanziario BlackRock (4,9%), Lazard (+2,6%), Vanguard Group (1,8%) solo per citare gli azionisti principali.

Nel capitale della controllata Aspi, oltre ad Atlantia con una quota dell’88,06%, sono presenti Appia Investments, società partecipata da Allianz, Edf Invest e Dif, che ha una quota del 6,94% e la cinese Silk Road Fund (5%) che è anche azionista di Pirelli & C. Ricordiamo che il 26 luglio del 2017 Atlantia aveva perfezionato la cessione dell’11,94% del capitale di Autostrade per l’Italia che era stata annunciata il precedente 27 aprile sulla base di un prezzo riconosciuto dagli acquirenti pari a 1,767 miliardi di euro, evidenziando così una valutazione per il 100% dell’equity pari a 14,8 miliardi.

È evidente che la sola ipotesi di nazionalizzazione della rete autostradale gestita da Aspi, accompagnata dal mancato riconoscimento del valore residuo della concessione, provocherebbe ulteriori perdite ai numerosi investitori, italiani ed esteri, che ritenevano Atlantia un “safe heaven”, e rappresenterebbe un vero e proprio provvedimento contrario al mercato che aprirebbe poi la strada a lunghi e difficili conteziosi legali.

Senza dimenticare che tra gli investitori potrebbe emergere la sensazione che questo modus operandi del governo possa essere esteso ad altri settori regolati che in questo modo potrebbero essere considerati maggiormente rischiosi e, quindi, a parità di rendimento, meno appetibili.

L’ingresso di Cdp in Aspi implicherebbe, quindi, l’abbandono di qualsiasi ipotesi di revoca della concessione e di nazionalizzazione e, da un punto di vista operativo, potrebbe avvenire almeno inizialmente ipotizzando la conversione del debito in equity, una volta trovato un compromesso su risarcimenti, rimborsi e ricostruzione.

Al 31 dicembre del 2017 Cassa depositi e prestiti era creditore nei confronti della concessionaria autostradale per complessivi 1,7 miliardi per i finanziamenti concessi. Dimensione a fronte della quale Cdp potrebbe acquisire oltre il 15% del capitale.

Come scritto sopra l’ultima operazione sul capitale di Aspi è stata annunciata il 27 aprile del 2017, quando il prezzo di riferimento di Atlantia era nell’ordine dei 23 euro. Al prezzo di questa transazione possiamo stimare di applicare uno sconto del 25%, proprio per incorporare la prevedibile riduzione della redditività futura e dei maggiori investimenti per manutenzione ordinaria e straordinaria, già sostanzialmente riflesso nelle attuali quotazioni della controllante.

Così facendo, Cdp potrebbe convertire il suo credito di 1,7 miliardi in una partecipazione pari al 15,3% del capitale di Aspi, diventando così il secondo azionista alle spalle di Atlantia, il cui peso diminuirebbe al 74,6% dall’attuale 88,06%, diluendo anche gli altri soci finanziari.

Operazione che permetterebbe allo Stato italiano di ritornare in una posizione attiva in una concessionaria strategica per il Paese, salvaguardando nel contempo la credibilità nei confronti degli investitori, in particolare di quelli internazionali.