Obbligazioni – La sbandata del dollaro

I dati sulla crescita dell’inflazione americana ripropongono ancora una volta la difficoltà di estrapolare dai dati macroeconomci una lettura univoca.

Sale l’occupazione, battendo le più rosee previsioni, ma i prezzi restano fermi e diviene difficile capire perché i tassi d’interesse debbano salire se non per potersi garantire un margine di discesa, laddove si rendesse necessario in futuro.

Il dollaro accusa il colpo e si porta a ridosso del dato sui prezzi in area 1,17 contro euro e lì resta anche stamane.

Un Mario Draghi più loquace che in altre occasioni conferma la ripresa robusta e allargata, ma un rallentamento, fisiologico, di un’area ormai integrata che risente del protezionismo esterno. Anche in questo caso, confermate le decisioni di politica monetaria, si ribadisce la necessità di mantenerne lo stimolo.

Probabilmente, a livello globale, si assisterà ad una riduzione della “velocità di crociera” senza abbandonare il sentiero di crescita.

Il caso Italia resta al centro delle preoccupazioni dell’Unione, in senso lato, e il parlarne in maniera così aperta potrebbe esasperare le reazioni sia politiche che di mercato.

Dai primi scambi sui Btp trapela un atteggiamento di maggiore cautela da parte degli investitori, che inevitabilmente fanno tesoro dei commenti che vengono dai palazzi del potere. Nulla di che, è anche la vigilia del week end, ma specie sul breve la manciata di punti base al rialzo dà un’indicazione di massima del sentimento di mercato.

Prosegue infine il movimento a yo-yo degli spread dei corporate high-yield, che navigano in acque calme supportati dalla ripresa delle Borse e indifferenti alle vicende dei mercati emergenti.