Il ruolo della Fed nel periodo di rialzo dei rendimenti

La Banca Centrale ha il compito di assecondare la politica monetaria adeguandola all’andamento dei cicli economici.

Nell’ultimo decennio, tale attività è diventata quasi esclusivamente espansiva da parte non solo della Federal Reserve, ma in particolare da tutte le principali autorità monetarie mondiali ed in particolare la Bce, la Bank of Japan e la Bank of England che hanno realizzato un “Quantitative Easing” complessivo per 13 trilioni di dollari.

La Fed ha però già iniziato il meccanismo di “neutralizzazione”, vale a dire di stabilizzazione del suo attivo patrimoniale, prima interrompendo il lungo “Quantitative Easing” dal dicembre 2015 e successivamente riducendolo da ottobre 2017 contenendo i rinnovi dei bond in scadenza, passando dai 30 miliardi di dollari iniziali fino agli attuali 50 miliardi in questo trimestre.

Nelle ultime quattro settimane, la Federal Reserve ha ridotto il suo attivo patrimoniale di $34 miliardi portando il declino totale a $289 dall’inizio del programma di dismissioni e riducendo l’ammontare complessivo di titoli detenuti a 4,175 trilioni di dollari, il livello più basso dal 5 marzo 2014.

Durante il QE, la Fed ha comprato non solo Treasuries ma anche MBS (mortgage-backed securities) e, durante questo processo di “normalizzazione”, il chairman sta riducendo entrambi le due voci principali dell’attivo della banca centrale. Powell non sempre riesce a rispettare il quantitativo preventivato di non riacquisto dei titoli, dovendosi adeguare alla quantità di titoli in scadenza nelle due aste principali, quella di metà e di fine mese, e di conseguenza il programma di normalizzazione è leggermente in ritardo sui tempi.

In definitiva, dal 6 settembre 2017 al 3 ottobre 2018, la Fed ha ridotto il suo attivo patrimoniale di $172 miliardi in titoli di stato “distruggendo questo denaro”, così come lo aveva creato in precedenza quando aveva comprato gli stessi titoli.

La banca centrale sta inoltre riducendo anche la componente di MBS pari a $89 miliardi dall’inizio della riduzione del Quantitative Easing limitando il sostegno al mercato immobiliare che denota, in alcune aree del Paese, alcuni segnali di surriscaldamento delle quotazioni.

L’IMPATTO SUI TASSI DI INTERESSE e WALL STREET

Il rialzo dei tassi ha avuto un impatto praticamente insignificante sulla corsa al rialzo di Wall Street.

Una conseguenza più significativa si è verificata con il superamento del rendimento del decennale della soglia psicologica del 3% avvenuta lo scorso gennaio che portò ad una correzione dei listini americani vicina al dieci per cento, ma che fu poi assorbita nei mesi successivi fino a consentire la frantumazione, anche diverse volte, dei precedenti massimi storici di inizio anno.

Nelle ultime due settimane, invece, lo stesso rendimento del T-bond è salito di quasi trenta punti base dal 2,94% fino all’attuale 3,25 per cento.

Tale ascesa repentina ha provocato anche l’impennata dei tassi di interesse sui mutui, che hanno superato l’asticella del 5% per il tasso fisso a trent’anni.

Wall Street ha lievemente sbandato nelle ultime sedute, espressamente nella sua componente tecnologica, il Nasdaq, non solo per l’impennata dei rendimenti ma anche per le dichiarazioni del chairman Powell che ha confermato che la Fed è ben lontana da una situazione di politica monetaria neutrale.

In aggiunta, anche gli ultimi dati del mercato del lavoro domestico hanno evidenziato una situazione di surriscaldamento in alcune componenti dell’economia a stelle e strisce che costringerà la banca centrale a proseguire il rialzo dei tassi anche nel prossimo biennio, come peraltro previsto.

Infine, la politica monetaria più restrittiva sta portando a un aumento del costo di finanziamento con un aggravio sia sul deficit che sul debito pubblico.

In definitiva, la situazione è diventata un po’ più fluida e possiamo aspettarci impennate nella volatilità, alle quali stiamo peraltro già assistendo, ma Wall Street ha finora dimostrato di saper superare qualsiasi ostacolo.