Il governo punta a creare una società della rete che combini gli asset di Tim e Open Fiber (dal rame alla fibra, dai cabinet nelle strade fino ai cavidotti), complessivamente valutati 15 miliardi. La nuova realtà avrebbe una “governance indipendente” e un “chiaro presidio pubblico”, possibilmente sotto la guida di Cdp, che insieme ad Enel controlla pariteticamente Open Fiber ed è azionista di Tim con il 4,93% del capitale.
Secondo quanto riportato dal Messaggero, che cita un documento del governo, nella società della rete dovrebbero confluire circa 30 mila dipendenti del gruppo Tim, sostenuti da un fatturato annuo di 5 miliardi con un margine operativo di almeno 2 miliardi. Nei successivi cinque anni verrebbero investiti ulteriori 5 miliardi per sviluppare la rete sull’intero territorio, con l’obiettivo finale di dotare l’Italia di un adeguata infrastruttura a banda larga, per colmare il gap digitale che rallenta lo sviluppo del Paese. Nel documento non si fa mai riferimento alla Rab, il sistema tariffario per spesare in bolletta tutti gli investimenti, ma si parla di un sistema regolatorio che li incentivi.
I 15 miliardi finirebbero per la maggior parte nelle casse di Tim, risolvendo l’annoso problema del debito. Al 30 settembre scorso l’indebitamento finanziario netto rettificato di Gruppo ammontava a 25.190 milioni.
Quanto al contesto di riferimento, il documento precisa che Tim ha già oggi sviluppato una posa di banda ultralarga nell’80% del Paese in tecnologia Fttc (Fiber to the cabinet), mentre in termini di copertura Ftth (Fiber to the home) Tim offre servizio in 30 città ed ha formalizzato l’avvio dei lavori in ulteriori 70 città entro il 2020 con l’obiettivo di tagliare il traguardo di 250 città negli anni immediatamente successivi. Inoltre, Tim ha già una copertura in fibra limitata ma attiva in ulteriori 86 comuni per un totale complessivo di 116 città coperte.