Per Creval l’uscita dell’Ad Mauro Selvetti rappresenta l’ultimo atto di discontinuità con il passato. Dopo che il manager ha rimesso in carreggiata la banca portando a termine un anno l’aumento di capitale da 700 milioni e accelerando nel de-risking, alcuni dei principali azionisti dell’istituto valtellinese hanno optato per un cambio della guardia. Il rilancio commerciale della banca con la preparazione del nuovo piano strategico sarà affidato a Luigi Lovaglio, nominato nuovo Ceo, con l’obiettivo anche di risollevare le quotazioni, attualmente ai minimi storici. Scelta apprezzata in Borsa, con il titolo che anche oggi viaggia in rialzo (+1,7%), dopo il +10,62% messo a segno ieri.
Proseguono sostenuti gli acquisti su Creval a Piazza Affari in scia al cambio della guardia al vertice della banca. Intorno alle 10:30 le azioni segnano un rialzo dell’1,7%% a 0,072 euro, dopo il balzo del 10,62% messo a segno ieri.
Ieri la banca valtellinese ha annunciato le dimissioni, su richiesta della stessa nel segno della discontinuità, dell’Ad Mauro Selvetti, con la contestuale nomina al suo posto di Luigi Lovaglio, che fino a ieri ricopriva il ruolo di presidente.
L’uscita di Selvetti rappresenta l’ultimo passo di quel rinnovo partito tra settembre e ottobre dello scorso hanno che ha portato dapprima alle dimissioni in blocco di quasi tutto il cda (in primis dell’ex presidente Miro Fiordi) prima della scadenza naturale e poi all’elezione del nuovo board.
Promotore del suddetto rinnovamento era stato il socio Dgfd, il veicolo lussemburghese che fa capo all’imprenditore francese Denis Dumont e titolare del 5,784% della banca e che aveva trovato un ampio consenso tra i fondi entrati nel capitale dell’istituto dopo l’aumento di capitale da 700 milioni chiuso con successo a marzo 2018. Proprio il forte peso assunto da questa tipologia di investitori nell’azionariato è stato alla base della richiesta fatta da Dgfd.
In quell’occasione l’unico segnale di continuità fu rappresentato proprio dalla conferma di Selvetti, che aveva ricevuto parole di apprezzamento per avere portato a termine suddetto aumento di capitale e per aver accelerato nel de-risking, che ha portato alla riduzione del 51% su base annua dei crediti deteriorati, con l’Npe ratio lordo passato dal 22% all’11% e quello netto dal 13% al 5 per cento. La banca nel 2018 ha inoltre visto il ritorno all’utile per 31,7 milioni.
Al manager erano stati riconosciuti i meriti per avere semplificato la struttura organizzativa (come per esempio la riorganizzazione della bancassurance e del factoring) e per avere ottenuto il via libera di Bankitalia all’utilizzo dei modelli interni di rating per la misurazione del rischio di credito. Tutte operazioni che hanno permesso al Cet1 ratio fully loaded di raggiungere il 13,5 per cento.
Tuttavia, secondo quanto riporta la stampa, il cambiamento dell’Ad era allo studio già da diverse settimane, su richiesta proprio di alcuni fondi, tra cui il fondo Algebris di Davide Serra (cui fa capo il 5,286% del capitale), oltre alla stessa Dgfd.
Questi ultimi chiedono un immediato ritorno alla redditività, al fine di poter recuperare l’investimento fatto nella banca, considerando che gli attuali valori di Borsa sono inferiori del 30% rispetto al prezzo a cui venne effettuato l’aumento di capitale (0,07 euro vs 0,1 euro), nonché ai minimi storici.
Proprio per questo è stato deciso di assegnare il ruolo di Ceo a Lovaglio, che vanta già un’importante expertise essendo stato il fautore, tra il 2011 e il 2017, della crescita, anche come capitalizzazione, della banca polacca Bank Pekao, ex controllata di UniCredit.
Lovaglio, infatti, si occuperà della stesura del nuovo piano industriale 2019-2021, che sarà presentato entro il primo semestre di quest’anno e che punterà ad un’accelerazione dell’attività tradizionale di banca commerciale del territorio, puntando al contempo sulle aree di business più profittevoli come il factoring e la bancassurance.
Alcuni operatori di mercato sono tornati a sostenere che tutto ciò potrebbe essere propedeutico ad una potenziale aggregazione, vedendo nella francese Crédit Agricole un potenziale partner. Quest’ultima nei mesi scorsi aveva rilevato il 5% di Creval nell’ambito di un accordo di bancassurance, con la possibilità di salire al 9,9% se la collaborazione venisse estesa ad altre aree di business. Tuttavia, più volte in tempi recenti (concetto ribadito anche ieri) i vertici dell’istituto transalpino avevano negato di voler prendere il controllo della banca valtellinese e di voler interferire nella governance.
Lo stesso Lovaglio, in un’intervista rilasciata lo scorso ottobre, aveva dichiarato: “Anzitutto serve lavorare per far tornare il titolo almeno al livello degli altri competitor, che oggi quotano su livelli di patrimonio tangibile più elevati del Creval. Per questo vedo davanti un percorso di crescita organica molto strutturato. Ovvio, che per proseguire ancora, nel giro di un paio di anni non si potrà non pensare a un’aggregazione con un competitor italiano, che dovrà creare valore”.
Nei giorni scorsi erano emerse anche delle novità sul fronte dell’azionariato. Secondo i dati Consob aggiornati allo scorso 21 febbraio, il primo azionista oggi dell’istituto valtellinese è l’hedge fund Altera Absolute Investments con il 7,07%, poi, oltre a Dgfd, ad Algebris e al Crédit Agricole, c’è Hosking Partners con il 5,057 per cento.