La comunicazione dei dati relativi al portafoglio dell’Eurotower è slittata al giorno dell’Epifania per ragioni di calendario e in considerazione del ritardo fisiologico che la rilevazione di fine trimestre comporta per l’aggiornamento degli ammortamenti che cadono con pari frequenza.
Si ricorda poi che l’attività di investimento svolta sul mercato dalla Bce era rimasta concentrata nella sola prima parte del mese di dicembre e quindi sospesa fino al nuovo anno per evitare di provocare effetti distorsivi sulle negoziazioni in una fase dell’anno caratterizzata storicamente da minore liquidità.
Al netto di tutto, risulta forse più interessante, dopo una breve analisi di quanto fatto nell’ultimo mese del 2019, confrontare le consistenze e le caratteristiche disponibili da un anno con l’altro.
Il valore complessivo del portafoglio ammonta al 31 dicembre scorso a circa 2,7 trilioni di euro di cui oltre 2,1 di titoli del settore pubblico (titoli di Stato in primis) che continuano a mantenersi in una percentuale compresa tra l’81 e l’82% del totale. Il delta, quindi la variazione totale mese su mese, cresce “solo” di 8 miliardi e mezzo proprio a causa di 7 miliardi circa di ammortamenti che oscurano la cifra lorda effettivamente investita pari quindi a circa 15,4 miliardi, acquisti concentrati, come detto, nella prima quindicina di dicembre.
Nell’ambito del comparto “settore pubblico” tutti i Paesi rappresentati, includendo anche gli Enti Sovranazionali, segnano incrementi netti con la sola eccezione dell’Italia che accusa una riduzione comunque del tutto trascurabile. I quattro Stati principali restano inevitabilmente la frazione principale del comparto che resta concentrato su Germania, Francia, Italia e Spagna per oltre il 70% dell’investimento come grandezza stock.
Come anticipato, è più interessante a questo punto rilevare qualche dato qualitativo della composizione del portafoglio di inizio 2020 rispetto a un anno prima. La durata media del comparto dei titoli pubblici, per esempio, è complessivamente diminuita di circa 4 mesi portandosi ad un valore medio di poco superiore ai 7 anni. Questo dato, fornito in forma aggregata dalla Bce, permette di formulare l’ipotesi che in un percorso di rendimenti sempre più negativi gli acquisti di sostituzione o incrementali abbiano privilegiato durate più brevi.
Sebbene il dato in questo caso sia aggiornato a metà ottobre, sul fronte Abs è stata privilegiata ancora una volta la massima qualità del portafoglio con un peso relativo del rating di tripla A che sfiora il 90% e dove la componente italiana conta il 19% degli acquisti lordi e il 13% delle consistenze nette, seconda solo ai Paesi Bassi notoriamente piazza privilegiata per la domiciliazione di questo tipo di strutture.
Leggermente differente la situazione sul comparto corporate che ha proseguito la sua crescita progressiva in termini percentuali arrivando a fine anno a pesare per il 7,2% del totale. Pur rimanendo sempre all’interno del mondo “investment grade”, qui la posizione si ribalta vedendo da un lato la percentuale di miglior rating (AA) perfettamente pesata rispetto all’universo potenzialmente investibile (11%), dall’altro leggermente sovrapesata (43% contro il 41%) la componente più rischiosa (BBB) a scapito di quella valutata A singola (45% rispetto a 48%).