I Malacalza hanno fatto causa contro Carige, il Fondo Interbancario, lo Schema Volontario e il gruppo trentino Cassa Centrale Banca, accusandoli di “trasferimento forzoso di ricchezza”, che avrebbe determinato un danno alla holding di famiglia, ex socio di maggioranza dell’istituto ligure e diluito a una quota vicina al 2% del capitale dopo l’aumento di capitale da 900 milioni.
Il danno richiesto dalla famiglia Malacalza è pari a 486 milioni. Cifra che corrisponde alla differenza tra il valore patrimoniale dell’originaria partecipazione di controllo del 27,55% in Carige pre-aumento e il valore attuale della partecipazione, pari al 2,016 per cento.
Tale ammontare servirebbe, secondo i Malacalza, per reintegrare il patrimonio “nella medesima posizione patrimoniale in cui si trovava prima della deliberazione” dell’aumento di capitale approvato con l’assemblea del 20 settembre scorso. Va notato che nei calcoli il valore originario della partecipazione è stato incrementato del 15% a titolo di “premio di maggioranza di controllo”.
Le ragioni per le quali secondo i Malacalza la delibera dell’aumento di capitale dovrebbe essere giudicata invalida dal Tribunale riguardano “la violazione del principio della parità contabile”, “l’esclusione del diritto d’opzione dei soci” e “la non conformità del prezzo di emissione delle nuove azioni”, poiché non calcolato sulla base del patrimonio netto.
Da notare che i Malacalza negli anni hanno investito in Carige circa 400 milioni. Se venisse accolta la richiesta danni, quindi, uscirebbero dall’investimento non solo coprendo gli investimenti ma in attivo.