Mercati – I titoli protagonisti del Ftse Mib a marzo

Per la terza volta consecutiva nel 2020, piazza Affari ha concluso le contrattazioni con un saldo mensile negativo (-22,4%). La performance di marzo del Ftse Mib è stata affossata dalle vendite innescate dalla diffusione del Coronavirus in Italia, primo Paese occidentale ad affrontare questa pandemia che, con il trascorrere dei giorni, ha poi progressivamente colpito il resto d’Europa e del mondo. Non hanno fatto bene al principale indice azionario tricolore anche le tensioni, in sede di Unione europea, tra il governo di Roma e gli esecutivi di Berlino e dell’Aia sull’eventuale ricorso al Meccanismo europeo di stabilità (Mes) e/o sulla possibile emissione dei cosiddetti eurobond per far fronte agli enormi costi legati agli effetti del Coronavirus sull’economia italiana. Rispetto al massimo dello scorso 19 febbraio a 25.483,05 punti il Ftse Mib ha lasciato sul terreno quasi un terzo del suo valore, cioè il 33,1 per cento.

A marzo, il paniere milanese è stato così tra i peggiori indici azionari mondiali, zavorrato dal settore bancario (-33,4%) su cui ha pesato la richiesta della Banca centrale europea di bloccare la distribuzione dei dividendi e di non ripresentare la proposta ai soci prima del prossimo ottobre. Male anche molti titoli industriali, mentre il comparto utility ha contenuto meglio le perdite (-15,4%). In un contesto di fortissimo risk off, nel vecchio Continente si sono posizionati davanti il principale paniere equity italiano lo Smi di Zurigo (-5,3%), il Ftse 100 di Londra (-13,8%), l’EuroStoxx 50 (-16,3%), il Dax di Francoforte (-16,4%), il Cac40 di Parigi (-17,2%), e l’Ibex 35 di Madrid (-22,2%). Sull’altra sponda dell’Atlantico, le nuove e aggressive mosse di politica monetaria della Federal Reserve, insieme al maxi piano di stimolo fiscale da 2 trilioni di dollari approvato congiuntamente in Parlamento da repubblicani e democratici, hanno permesso ai tre maggiori indici di Wall Street di contenere la discesa, in un contesto di altissima volatilità. Nel dettaglio, a marzo il Nasdaq Composite ha registrato una performance negativa (-10,1%), seguito dall’S&P 500 (-12,5%) e dal Dow Jones (-13,7%), con quest’ultimo che ha registrato il peggior trimestre (-23,2%) dal lontano 1987. In Asia, male il Nikkei di Tokyo (-10,5%), mentre ha limitato ancora una volta le perdite il CSI 300 di Shenzhen (-6,4%) anche grazie alle misure di sostegno all’economia da parte del governo e della banca centrale cinese.

Al di fuori dell’azionario, lo scorso mese il prezzo del Crude Oil ha subito una caduta quasi verticale (-55,1%) a causa del tracollo della domanda mondiale. Sul fronte valutario, il cambio Eur/Usd è rimasto invariato su base mensile (+0,1%) anche se nel corso del mese ha registrato un massimo intraday a 1,1495 e un minimo, sempre intraday, a 1,0636. Sul versante dei governativi, lo yield del Btp a 10 anni ha concluso il 31 marzo le contrattazioni all’1,519% rispetto all’1,10% del 28 febbraio, con il differenziale di rendimento con il Bund di pari durata balzato a 199 punti base, rispetto ai 171 di fine febbraio. Un aumento che è stato contenuto dagli acquisti della Banca centrale europea, grazie al nuovo programma Pandemic emergency purchase programme (Pepp) che ha abbattuto ogni precedente limite quantitativo agli acquisti di bond governativi dei Paesi aderenti alla moneta unica.

Passando all’analisi dei 40 titoli che compongono il paniere delle Big Cap italiane emerge che, a marzo, soltanto 1 ha concluso le contrattazioni su livelli di prezzo superiori a quelli registrati lo scorso 28 febbraio, 2 sono rimasti sostanzialmente invariati e ben 37 si sono attestati su livelli inferiori. Numeri ben peggiori rispetto a quelli già molto negativi di febbraio, dato che 5 avevano portato a casa una performance mensile positiva, 33 si erano attestati su livelli di prezzo inferiori a quelli del 31 gennaio e 2 erano rimasti invariati.

Il miglior risultato del mese di marzo all’interno del Ftse Mib è stato raggiunto da Diasorin (+17,8%) che lo scorso 20 marzo ha comunicato di avere ottenuto negli Stati Uniti il via libera da parte della Food and Drug Administration all’uso di emergenza per il test COVID-19 Direct Kit. Un dispositivo, quello dell’azienda italiana attiva nel campo della diagnostica in vitro, che fornisce una risposta semplice e rapida (meno di 60 minuti rispetto alle 5-7 ore necessarie con altre metodologie) per la rilevazione della sindrome respiratoria acuta causata dal Coronavirus 2, il virus che provoca il COVID-19. La commercializzazione è partita nei giorni scorsi e il gruppo guidato da Carlo Rosa ha stimato ricavi incrementali fra 5 e 10 milioni di euro al mese.

Alle spalle dei titoli Diasorin, lo scorso mese si è posizionata Ferrari (inv.) che lo scorso 14 marzo ha sospeso la produzione di auto negli stabilimenti di Maranello e di Modena fino al prossimo 14 aprile, a condizione che sia garantita la continuità della catena di fornitura. I vertici della casa del Cavallino rampante, a fronte della grande incertezza causata dal Covid-19, forniranno una nuova guidance finanziaria il prossimo 4 maggio, nel corso della conference call con la comunità finanziaria relativa ai risultati del primo trimestre del 2020. Nel frattempo, è confermata la distribuzione di un dividendo di 1,13 euro per azione (stacco cedola il 20 aprile) relativa all’esercizio 2019, con un incremento dell’8% su base annua.

Sul terzo gradino del podio di questa speciale graduatoria ancora un titolo del comparto health care, cioè Recordati (-0,4%), con il management che lo scorso 18 marzo ha comunicato i conti dell’intero 2019 e ha fornito indicazioni sui risultati economici attesi nell’esercizio in corso. Nel dettaglio, i vertici del gruppo farmaceutico hanno previsto per il 2020 un Ebitda compreso tra 580 e 590 milioni di euro (544 milioni nel 2019) e un utile netto compreso tra 360 e 370 milioni (341,9 milioni nel 2019 al netto di un beneficio fiscale straordinario). Recordati staccherà una cedola di 0,52 euro il 18 maggio, a saldo dell’acconto sul dividendo dell’esercizio 2019 di 0,48 euro, per un ammontare totale di 1 euro per azione, a fronte di 0,92 euro del 2018.