Azimut – Ecco la strategia per crescere nell’era post Covid-19

Il principale gruppo italiano indipendente di asset management conferma le proprie strategie anche dopo la diffusione della pandemia e conferma il target di 300 milioni di utile netto per il 2020. Gli assi portanti della crescita saranno lo sviluppo degli investimenti alternativi, il rafforzamento sui mercati internazionali, anche attraverso acquisizioni e con un’attenzione particolare a Usa, Australia e Cina, e, infine, una revisione dell’organizzazione per assimilare i processi di efficienza sperimentati durante il periodo di lockdown.

Pietro Giuliani, presidente e fondatore di Azimut, mostra il suo solito piglio carico di entusiasmo verso i programmi futuri e le opportunità che si aprono davanti alla società del risparmio gestito da lui guidata. Questo, nonostante i mercati abbiano alle spalle i peggiori crolli dalla Crisi storica delle borse mondiali del 1929 a causa del diffondersi della pandemia del Covid-19, che ha fatto traballare le economie mondiali. Piazza Affari, per esempio, ha lasciato sul terreno oltre il 20% in poco meno di un mese, dal 19 febbraio al minimo del 12 marzo.

Eppure, questo drammatico crollo non ha avuto le temute conseguenze sui portafogli dei clienti Azimut e questo è già un motivo di ottimismo per Giuliani. “I nostri clienti hanno, in media, esattamente quello che avevano come patrimonio al primo gennaio 2018: hanno attraversato la più grande crisi finanziaria dal ’29 senza perdere soldi rispetto a due anni fa” commenta con soddisfazione il presidente del principale gruppo indipendente di asset management tricolore.

“Con la crisi del Covid-19, si sono verificate alcune condizioni particolari che hanno fatto sì che i clienti non fossero presi dal panico vendendo nel momento peggiore come spesso accade. In questo modo hanno potuto beneficiare del rimbalzo dei listini, limitando i danni.

Nell’emergenza in corso, infatti,” – spiega Giuliani – “le persone erano all’inizio molto preoccupate per la propria salute. Poi c’è stato il lockdown che ha creato disagi e una sensazione di difficoltà. Tutto ciò ha distratto i risparmiatori, che non si sono precipitati a smobilizzare i propri asset nel momento più negativo. E quando hanno iniziato a guardare i propri risparmi, spaventati da quello che accadeva in Borsa, i consulenti sono stati in grado di indirizzarli nel modo migliore, anche grazie al fatto che i portafogli avevano già beneficiato del recupero dei listini”.

E adesso inizia la fase due, non solo per quanto riguarda la ripresa delle attività, ma anche per gli investimenti. Per Giuliani questo è il momento di tornare a investire in azioni. “La nostra convinzione è che nei prossimi 12-24 mesi si debba gradualmente incrementare la propria quota di azioni in portafoglio dal 20%, che rappresenta la media degli investimenti in titoli di Borsa nei portafogli, a una quota pari al 50/60% degli asset”.

Un riassetto che Azimut ha già iniziato ad effettuare. “Già ora i nostri portafogli sono saliti al 30-40% di esposizione azionaria. Solo lì” osserva il presidente di Azimut, “si può cercare valore e quindi ottenere rendimento, in una ottica di medio-lungo periodo”.

Il fondatore di Azimut fa notare che “lo scenario ricalca quello di 5 anni fa: tassi a breve leggermente negativi, zero sulle obbligazioni e leggermente positivi sulle scadenze più lunghe. Di fatto il reddito fisso non rende più nulla. Infatti chi 5 anni fa aveva una asset allocation media rappresentata dall’80% del portafoglio in obbligazioni e il 20% in azioni ora si ritrova gli stessi soldi di prima perché le commissioni hanno assorbito la poca performance delle azioni. Non ha guadagnato niente. Per questo chi vuole accrescere il proprio patrimonio deve investire di più nel capitale delle aziende”.

Giuliani illustra le priorità strategiche

Pietro Giuliani, presidente di Azimut

L’emergenza sanitaria derivante dalla diffusione del virus Covid-19 non ha alterato le linee guida della strategia di crescita del gruppo Azimut. Semmai ha creato alcune opportunità.

“Uno dei grandi progetti che abbiamo lanciato e in cui crediamo molto è quello degli investimenti alternativi. Portare il denaro direttamente all’economia reale. E questa è sicuramente una priorità strategica e che viene confermata e rafforzata anche in epoca Coronavirus.

La seconda” spiega Giuliani, “è la prosecuzione del nostro sviluppo estero dal quale a oggi deriva il 30% degli asset.

Infine ci concentreremo su un modo più efficiente di operare, anche grazie ad alcune lezioni che abbiamo appreso sullo smart working, in questo ultimo periodo di forzato lockdown”.

Puntiamo sugli investimenti alternativi che potranno avere un boost

La crisi portata dall’epidemia Covid-19 crea, paradossalmente, un terreno fertile per una accelerazione degli investimenti alternativi.

“Le piccole e medie imprese hanno bisogno di liquidità in tempi rapidi. E noi riusciamo a fornire una risposta adeguata tramite i nostri fondi alternativi. Gli imprenditori sono disposti a pagare un piccolo premio sul tasso, mezzo punto o un punto in più, pur di avere velocemente i finanziamenti. Un sistema che ha un duplice effetto positivo” sottolinea Giuliani, “ossia finanziare le aziende, permettendo alle piccole e medie imprese italiane che si rivolgono a noi di ripartire, e al contempo consentire alla nostra clientela di avere rendimenti più interessanti”.

Oltre al mondo del credito, in questa fase, c’è molta richiesta di capitale da parte delle aziende. La crisi ha fatto crollare le resistenze e le diffidenze delle Pmi verso l’ingresso di un socio nella compagine azionaria.

“Alcune imprese necessitano di fondi ma non vogliono incrementare l’indebitamento. Cercano un partner disposto a entrare nel capitale con una quota di minoranza, ma silente. Che lasci a loro la gestione e che partecipi in qualità di socio finanziario. E questo noi lo possiamo offrire tramite i nostri fondi di Private Equity” rimarca Giuliani, “tramite ALI (Azimut Libera Impresa) abbiamo gli strumenti per farlo e il nostro spirito imprenditoriale, unito al fatto di avere sperimentato le problematiche di convivere con un socio istituzionale, all’epoca del management buy-out prima della quotazione, rendono la nostra mentalità flessibile e in grado di capire le esigenze degli imprenditori.

Fissando ovviamente dei paletti per garantire il capitale dei nostri clienti e una way-out dopo un congruo periodo di circa 5 anni”.

Nel Private Equity l’obiettivo di due miliardi per fine 2020 potrebbe essere superato

“Questo è il momento buono per investire: c’è domanda di capitale e le valutazioni sono molto più basse rispetto al passato. È il timing più favorevole per comprare, soprattutto nell’ottica di lungo periodo, che hanno i fondi di privare equity. Si può accompagnare le imprese nella ripartenza e rilancio condividendone gli utili. Inoltre in questa fase c’è una naturale selezione delle imprese per cui si rischiano meno investimenti sbagliati” osserva Giuliani.

“Ma anche per gli investitori è arrivata l’ora di rivedere la propria asset allocation aumentando gradualmente il peso delle azioni e riservando almeno un 10% del patrimonio mobiliare a investimenti in Private Equity, altrimenti il rendimento risulta troppo diluito sul portafoglio” afferma Giuliani.

A fine 2018 le masse dei fondi di private equity di Azimut erano pari a 0,4 miliardi, già saliti a 1,2 miliardi a oggi, mentre per fine anno il gruppo si attende di arrivare a 2 miliardi, per poi salire a 10 miliardi al 2024.

“Le nostre stime sugli asset derivano dall’assunto della necessità di riconversione dei portafogli: se consideriamo il 10% delle nostre masse gestite, superiori ai 40 miliardi, si arriva a una stima di 4 miliardi. Sarà un processo graduale ma la previsione di 2 miliardi potrebbe rivelarsi sottostimata” puntualizza Giuliani, che aggiunge: “e tra cinque anni potremmo arrivare a 20 miliardi, se le nostre masse continueranno a crescere ai tassi registrati finora. In questo modo riusciremo a cambiare realmente le performance dei nostri clienti”.

La seconda priorità resta lo sviluppo della piattaforma internazionale

“La nostra piattaforma estera è oramai consolidata e nel primo trimestre ci ha portato la metà della raccolta netta. Inoltre siamo uno dei pochi asset manager tricolore in grado di operare sui mercati direttamente in loco, che ci dà un notevole vantaggio operativo” rimarca il presidente.

“In Turchia siamo il primo operatore estero, siamo presenti in 17 Paesi passando dall’Egitto alla Svizzera, dall’Asia al Sud America, Australia e Medio Oriente ma dove puntiamo a crescere nel prossimo anno sono gli Stati Uniti” spiega Giuliani, “la nostra strategia è quella di fare piccole acquisizioni di società di private equity, piccole per il mercato Usa e fuori dal radar dei grandi player, ma con grande expertise.

Stiamo per concludere una nuova operazione e abbiamo come partner locale un manager americano, Jeffry Brown, un veterano del settore che proviene da un gigante mondiale degli alternativi e ha grande esperienza.

Altro segmento dove stiamo guardando acquisizioni negli Stati Uniti è quello della distribuzione. Piccole società di wealth management con clientela locale e asset compresi tra 0,5 e 10 miliardi di dollari, come quella che abbiano comprato a Miami che serve però clientela non statunitense”. La strategia prevede l’ingresso con una quota di minoranza per poi arrivare nel tempo, nel giro di 5-7 anni, a detenere la maggioranza.

La crescita avverrà anche tramite acquisizioni per un valore di circa tre miliardi

Il valore delle nuove acquisizioni potrà essere di circa tre miliardi, cifra da intendere come la quota di competenza di Azimut delle masse gestite delle realtà che entrano a far parte del gruppo.

Altro continente dove Azimut è presente e che sta dando soddisfazioni è l’Australia. “Siamo forti anche in Brasile e in Australia dove continueremo con la strategia di piccole acquisizioni.

In Cina, infine, abbiamo fatto una joint venture con il gruppo di wealth management locale Youmy. Abbiamo acquisito il 9% per poi salire al 18%. Si tratta di un investimento dalle grandi potenzialità perché questo gruppo conta su una buona clientela e opera anche nel settore del private equity. Sono investimenti finanziariamente importanti per cui entriamo con cautela” puntualizza Giuliani.

Il terzo obiettivo è l’innovazione organizzativa e delle procedure

“L’esperienza del lockdown ci ha costretti a sperimentare nuove modalità operative, come l’utilizzo sempre più esteso di videoconferenze e del lavoro in modalità remota” osserva Giuliani, “e abbiamo visto che funziona. La nostra operatività è stata garantita al 100%.

Noi eravamo già attrezzati e avevamo già fatto investimenti in tecnologia per riuscire a operare in modo efficiente col nostro network internazionale. Ma in Italia c’è sempre stata un po’ di diffidenza verso questo sistema che invece funziona e noi vogliamo studiare nuove procedure e nuovi strumenti per operare meglio”.

Una trasformazione che implicherà anche un risparmio di costi. “Sì c’è anche questo elemento, per esempio saranno necessari minori spazi fisici per gli uffici, ma non limiterei le potenzialità della trasformazione all’aspetto dei costi. Vogliamo modernizzare e rendere più efficiente la nostra struttura” aggiunge Giuliani.

Lo scenario economico resta complesso

“C’è molta incertezza da parte degli investitori, ma anche da parte dei protagonisti dell’economia su quali potranno essere le prospettive” ammette Giuliani, che osserva: “siamo di fronte alla possibilità della più grande recessione dalla crisi del ’29, alcuni prospettano addirittura una depressione.

Le previsioni per il Pil sono state tagliate a un calo del 9,4%. La Gran Bretagna prevede addirittura una diminuzione del 25%. Noi stimiamo una discesa del 9,5%. Qualcuno si sta sbagliando, ma sicuramente ci aspetta una crisi”.

Confermato il target di 300 milioni di utili per il 2020

“Il nostro modello di business ci mette nelle condizioni migliori per affrontare il prossimo periodo. Certo molto dipenderà da quello che faranno i mercati, che se saranno molto diversi da quello che sono stati fino ad adesso ci potrebbero permettere di raggiungere i 300 milioni di utile, che era il target che avevamo dato prima dell’effetto dirompente del Coronavirus” osserva Giuliani.

Il presidente precisa: “nel primo trimestre abbiamo realizzato un utile di poco inferiore ai 50 milioni. In quella cifra, tuttavia, sono inclusi circa 15 milioni di perdite sugli investimenti di proprietà e le commissioni di performance sono ridotte in quanto relative solo a gennaio. Dipenderà dai mercati finanziari il fatto di poter considerare un utile normalizzato di 75 milioni a trimestre che renderebbe possibile i 300 milioni di target a fine anno.

Giuliani sottolinea inoltre come la struttura diversificata dei ricavi metta il gruppo in una condizione di maggiore tranquillità rispetto ad altri operatori.

“La redditività espressa dall’utile non esprime il valore del gruppo perché non coglie le potenzialità del network internazionale” rileva Giuliani, “i 35 milioni di Ebit che vengono dalle attività internazionali non rivelano il valore potenziale dei nostri investimenti. Siamo presente in Paesi che crescono a tassi superiori all’Italia sia dal punto di vista economico sia del risparmio e questo darà sicuramente i suoi frutti”.