Vincitori e vinti della battaglia per le Autostrade italiane

Chi ha avuto la meglio tra il governo giallorosso e i Benetton sull’annunciata “transazione” della società che gestisce la maggiore rete autostradale della penisola? È questa la domanda che molti semplici cittadini italiani, ma anche grossi investitori internazionali, si stanno ponendo dall’alba del 15 luglio, cioè dal termine dell’infuocato Consiglio dei ministri convocato sul tema e durato sei ore fino alle 5,30 del mattino.

A piazza Affari, il gran balzo del 26,7% di Atlantia nella seduta successiva alla riunione notturna dell’esecutivo ha spinto molti a considerare la famiglia di Ponzano Veneto la vera vincitrice dello scontro, in corso da quasi due anni, con il governo presieduto da Giuseppe Conte. In realtà, la reazione dei titoli in Borsa riflette il minor rischio di revoca della concessione detenuta dalla controllata Autostrade per l’Italia (Aspi).

Revoca che fino al 14 luglio sembrava lo scenario più probabile sulla scia delle dichiarazioni dello stesso Premier e di importanti esponenti della sua maggioranza e che avrebbe potuto portare il gruppo quotato anche al default.

Basti pensare che a metà gennaio Standard&Poor’s ha tagliato il rating di Atlantia a junk, cioè “spazzatura”, in quanto il cosìddetto decreto Milleproroghe ha aumentato il pericolo di cessazione della concessione, con conseguenze legali e sulla liquidità difficili da prevedere per Aspi e per Atlantia. Il provvedimento legislativo in esame ha infatti abbattuto a 7 miliardi dai precedenti 23, l’indennizzo in caso di revoca, una cifra inferiore all’indebitamento finanziario netto di Autostrade per l’Italia che al 31 marzo era pari a 8,34 miliardi di euro.

L’accordo preliminare tra il governo italiano e i Benetton stabilisce, invece, il blocco della procedura di revoca e 3,4 miliardi di euro di misure compensative a esclusivo carico di Aspi a seguito del crollo del ponte Morandi di Genova. Atlantia, il cui primo azionista è la famiglia veneta attraverso Sintonia che controlla il 30,25% del gruppo quotato, dovrà poi ridurre la partecipazione in Autostrade per l’Italia dall’attuale 88,06% a meno del 50% del capitale. La progressiva uscita di Atlantia da Aspi prevede anche il contestuale ingresso di Cassa depositi e prestiti (Cdp), con il nuovo assetto azionario che potrebbe essere completato in 6/12 mesi.

Il Ministero delle infrastrutture e trasporti (Mit) e il Ministero dell’economia e finanze (Mef) gestiranno il graduale disimpegno di Atlantia dall’azionariato di Autostrade per l’Italia e sono al lavoro per definire un accordo su tutti gli aspetti della concessione relativa ai 3.020 chilometri di rete viaria nella Penisola.

Accordo che dovrebbe recepire anche l’indicazione del Consiglio dei ministri del 15 luglio relativa a una dinamica tariffaria meno favorevole dell’attuale e all’impegno di non distribuire dividendi per almeno due anni.

Da sottolineare che il negoziato tra il governo italiano, da un lato, e i vertici di Atlantia e Aspi, dall’altro, riguarda punti apparentemente tecnici, ma in realtà fondamentali per esprimere un giudizio definitivo sull’operazione. Non sono stati ancora definiti i nuovi criteri di determinazione dei pedaggi, cruciali per il calcolo del ritorno sugli investimenti, e conseguentemente non si conosce ancora il prezzo a cui Atlantia venderà la controllata che nel 2019 ha prodotto il 51% dell’Ebitda del gruppo, tenendo conto della vita residua della concessione.

Un passaggio decisivo per stabilire il valore di Aspi è rappresentato dal nuovo Piano economico finanziario che sarà inviato oggi dal top management della concessionaria al Mit.

Indiscrezioni di stampa evidenziano che il business plan potrebbe implicare una forchetta di valutazione della società oggetto della transazione compresa tra 6 e 10 miliardi di euro, con Cdp che in tempi brevi sottoscriverebbe un aumento di capitale tra 2 e 3,3 miliardi per avere il 33% di Autostrade per l’Italia.

In una seconda fase, alcuni fondi, probabilmente italiani, potrebbero comprare direttamente da Atlantia il 22% di Aspi per poi conferirla insieme a Cdp in un veicolo societario che avrà il 55% del capitale.

Un’operazione così strutturata consentirebbe all’esecutivo giallorosso di dichiarare che la maggiore concessionaria della rete viaria italiana è ritornata sotto il controllo, seppure indiretto, dello Stato italiano, e permetterebbe alla controllante Atlantia di ridurre il debito e di mantenere un piede in Aspi che, grazie all’ingresso nell’azionariato dell’istituto di via Goito, potrebbe godere di un contesto normativo e politico maggiormente favorevole. Questo anche se il tutto danneggerebbe gli interessi degli altri azionisti Atlantia, che detengono quasi il 70% del capitale.

È anche prevista una terza fase, che implicherebbe lo sbarco in Borsa del gruppo guidato attualmente da Roberto Tomasi, con le azioni di Aspi rimaste nel portafoglio di Atlantia e pari al 45% del capitale che dovrebbero poi essere distribuite pro-quota ai soci dell’ex-controllante, con la famiglia veneta che avrebbe così il 13,6% di Autostrade per l’Italia. Una quota non lontano dalla soglia del 10% al di sotto del quale non avrebbe più diritto a sedere nel cda della principale concessionaria autostradale in Italia.

Le cifre relative al valore di Aspi circolate nelle ultime settimane sono comunque ben inferiori (mediamente del 45%) a quelle di appena tre anni fa, in quanto chi gestirà a partire dal 2021 gli oltre tremila chilometri di rete viaria nella Penisola potrà contare su un patrimonio netto stimabile a fine 2020 intorno a 1,5 miliardi dai 2,7 miliardi del 31 dicembre 2017 (a causa della perdita di 282 milioni dello scorso esercizio e di quella ben superiore prevedibile per l’anno in corso anche a causa del lockdown e della conseguente crisi economica) e dovrà, secondo le attuali intenzioni dell’esecutivo tricolore, incassare tariffe inferiori a quelle attuali ed effettuare investimenti in manutenzione sensibilmente superiori a quelli degli ultimi 15 anni, abbattendo così i generosi flussi di cassa prodotti negli scorsi esercizi.

E proprio questo cash flow, insieme a un contesto di bassi tassi d’interesse, sono stati fondamentali nel processo di crescita per linee esterne del gruppo controllato da Sintonia che ha così portato avanti un’imponente campagna acquisti anche al di fuori dell’Italia, da ultimo il colosso iberico Abertis, divenendo leader globale nel settore delle infrastrutture di trasporto autostradali ed aeroportuali con una presenza articolata in ben 24 paesi.

Ricordiamo, infatti, che il 26 luglio 2017 il gruppo quotato a piazza Affari aveva perfezionato la cessione dell’11,94% di Autostrade per l’Italia sulla base di un prezzo riconosciuto dagli acquirenti pari a 1,767 miliardi, evidenziando in questo modo una valutazione per il 100% dell’equity pari a 14,8 miliardi.

I compratori, tuttora azionisti di Aspi, erano Appia Investments (veicolo partecipato da Allianz, Edf Invest e Dif) che ha rilevato il 6,94% e la cinese Silk Road Fund che ha comprato il 5 per cento.

Da rilevare al riguardo che il colosso assicurativo tedesco, proprio a dicembre, prima dell’emergenza Covid e nell’ambito di un’operazione infragruppo, ha svalutato di oltre il 15% la quota nella concessionaria autostradale italiana non soltanto perché per questa tipologia di asset è normale che con il passare del tempo il loro valore nominale scenda, ma anche perché il crollo del ponte Morandi e la conseguente bufera sulla famiglia Benetton e sui vertici di Atlantia/Aspi, hanno fatto lievitare il rischio di revoca della concessione, o comunque il rischio regolatorio, contribuendo così a deteriore lo scenario di riferimento e conseguentemente a ridurre il valore della propria partecipazione.

Per scoprire chi sarà il vincitore della battaglia per il controllo delle autostrade italiane bisognerà, quindi, ancora aspettare qualche settimana, cioè il tempo necessario per giungere a un’intesa sui nuovi pedaggi e sul prezzo delle azioni Aspi. Nel frattempo, non è escluso che la volatilità delle azioni Atlantia rimanga alta a piazza Affari, seguendo il flusso di notizie relative ai negoziati tra le parti, ricordando che sul tavolo delle trattative rimane la possibilità della revoca della concessione da parte del governo italiano, la cui completa rinuncia potrà avvenire solo in caso di completamento dell’accordo transattivo.