Continuano a rincorrersi i rumor sulla privatizzazione di Mps dopo che ieri la banca ha comunicato di avere risposto alla richiesta di BCE di fornire dettagli sulle tempistiche dell’aumento di capitale da 2,5 miliardi stimando di emettere nuove azioni entro marzo/aprile 2022.
“Con riferimento al Capital Plan approvato il 28 gennaio 2021 e inviato alla BCE, l’autorità ha preso atto della comunicazione resa da Mps nel contesto della presentazione dei risultati del primo trimestre dell’anno e, in particolare, che lo shortfall patrimoniale rispetto all’Overall Capital Requirement (OCR) possa essere, al 31 marzo 2022, inferiore a 1 miliardo, e ha richiesto una tempistica dettagliata di un eventuale aumento di capitale di 2,5 miliardi che consenta il computo delle azioni nel patrimonio prima che lo shortfall si verifichi”, si legge nella nota.
“La banca ha inviato all’autorità un’ipotesi di tempistica dettagliata che prevede l’emissione delle nuove azioni entro marzo/aprile 2022, precisando che, allo stato, l’eventuale aumento di capitale, solo ipotizzata e la cui attuazione è comunque soggetta all’approvazione da parte di DG Comp e della BCE per gli aspetti di competenza, rappresenta un’opzione subordinata rispetto al perseguimento della soluzione strutturale”, si legge in una nota.
Mps, rispetto a quanto già comunicato lo scorso 31 maggio e in ottemperanza alla informativa richiesta da Consob, ha fatto sapere che non ci sono aggiornamenti da segnalare in merito alla soluzione strutturale.
Tornando alle indiscrezioni, le ultime in ordine di tempo sono riportate da Il Messaggero, secondo cui il Tesoro, primo azionista di Mps con il 64,2% del capitale, avrebbe sondato anche Banco Bpm nell’ottica della privatizzazione, con la banca che però avrebbe fatto sapere di non essere interessata all’operazione; una posizione in linea con quanto espresso più volte dai vertici negli ultimi mesi.
Secondo il quotidiano anche UniCredit, l’altro istituto interpellato, appare piuttosto freddo sull’acquisizione della banca senese, nonostante le concessioni che il Governo sarebbe disposto a fare per annullare gli impatti del deal sulla posizione patrimoniale (Dta, miglioramento dell’asset quality, garanzie sui potenziali rischi legali e possibile creazione di una bad bank a controllo pubblico in cui far confluire gli Npe e dover poter retrocedere i crediti in bonis che dovessero deteriorarsi).
UniCredit sarebbe perplessa anche sulla validità industriale dell’operazione, potendosi ritrovare con il 50% della rete in sovrapposizione e a causa della debole redditività di Mps. Inoltre, la banca di piazza Gae Aulenti nei prossimi mesi sarà concentrata sulla riorganizzazione interna e un’ipotetica operazione straordinaria passerebbe in secondo piano.
Dato che al momento la situazione strutturale sembra allontanarsi e che il tempo inizia a stringere (gli accordi attuali con le autorità europee prevedono l’uscita dal capitale entro fine 2021), il Tesoro potrebbe vagliare altre strade.
Anche Il Messaggero torna sulle ipotesi del cosiddetto spezzatino o di una possibile proroga della presenza pubblica di 6-12 mesi nel capitale di Mps. Ma in entrambi i casi sarebbe necessario avviare una trattativa con le autorità europee per ottenere l’autorizzazione.
Nel caso di un potenziale spezzatino, diverse banche avrebbero espresso l’interesse a valutare la possibilità di rilevare alcuni asset.
Un quadro più chiaro lo si potrebbe avere dopo il prossimo 30 luglio, quando si conoscerà l’esito dello stress test. Nel caso dovesse emergere un fabbisogno di capitale, le norme BCE consentirebbero al Tesoro di intervenire per rafforzare la posizione patrimoniale.
Intorno alle 10:15 a Piazza Affari il titolo guadagna l’1,2% a 1,17 euro, mentre l’indice di settore sale dell’1,4 per cento.