Bollette elettriche, Governo, Top management e Classe dirigente

25,7 milioni di famiglie, 4.873.000 di partite iva, 1.724.182 di srl, 57.500 di cooperative, 30.000 di spa ed i sindaci dei 7.900 comuni sul territorio italiano iniziavano ad intravvedere l’uscita dal tunnel in cui gli effetti del Covid-19 li avevano spinti.

Tutti loro si stavano preparando a quell’agognato rilancio, rappresentato e sintetizzato nei 200 miliardi di investimenti che la “generosa” Europa ci ha messo sul piatto.

Un sogno che rischia di spezzarsi perché si è scontrato con lo Tzunami dell’esplosione del costo della vita ben rappresentato da quelle bollette elettriche che hanno velocemente sostituito i “morti da Covid” nelle prime pagine dei giornali, telegiornali e programmi televisivi di intrattenimento.

Ecco il motivo per cui i 59,55 milioni di cittadini che popolano le 25,7 milioni famiglie collocate nei 7.904 comuni italiani hanno indirizzato occhi e orecchie su Roma capitale in trepidante attesa delle scelte del Governo sul tema del costo delle bollette elettriche, che il Presidente Mario Draghi ha anticipato qualificandole come “intervento di ampia portata”, mentre Maria Cecilia Guerra, sottosegretaria al Ministero dell’Economia e della Finanza (Mef), li ha collocati tra i 5 ed i 7 miliardi.

Ma cosa sta facendo la classe dirigente di questo Paese di fronte ad uno degli ultimi interventi adottati in fase di “emergenza” pandemica per mitigare i dissesti causati da una “mala gestione” che viene da lontano, anche condiziona e mina le scelte di un governo al cui interno ci sono le menti più lucide, ma anche le più annebbiate, disponibili sul suolo patrio?

E cosa frulla nelle lucide menti che guidano le 8.510 unità economiche partecipate dal settore pubblico, al cui interno figurano aziende che tutti noi conosciamo come Inps, Agenzia delle entrate e Rai, ma anche gruppi come Eni, Enel, Poste Italiane, Monte dei Paschi di Siena e Leonardo. Una lista di aziende molto, molto, molto lunga, nella quale ci sono realtà come Italgas, Snam e Terna. Tutte società che direttamente o indirettamente fanno capo al Mef, alcune tramite Cdp, che detiene pure il 71% di Fincantieri, il 12,5% di Saipem ed il 18,68% di Webuild ma anche quote significative in molte altre importanti società quali Telecom, Open Fiber, Ansaldo Energia ed Euronext, che controlla Borsa Italiana.

Riepilogando, solo per la sfera pubblica, si parla di 8.510 presidenti, molto spesso accompagnati da altrettanti Amministratori delegati e pure da Direttori generali. Una classe dirigente che dovrebbe avere la facoltà e la capacità per sviluppare, accanto ai piani industriali, anche il cogito e quindi formulare proposte ed azioni. Lasciamo da parte il passato, sul quale stendiamo il velo, ma possiamo chiedere loro un pensiero ed un contributo per il presente ed il futuro?

Possiamo chiedere a Francesco Starace, amministratore delegato e direttore generale di Enel, una delle 8.510 unità economiche partecipate dal settore pubblico, cosa ne pensa delle bollette elettriche e dell’aumento del costo della vita?

E Starace, in quanto capo azienda, dovrebbe disporre di tutte le conoscenze necessarie per dare un contributo fattivo e costruttivo in quanto siede proprio sulla vetta della piramide molto più che numerosa di manager che definiscono le linee strategiche della gestione e dello sviluppo della più importante società italiana attiva nella generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili.

Proprio quelle aziende che, come sottolineano coloro che si definiscono come conoscitori del mondo dell’energia, traggono i maggiori benefici dall’aumento delle bollette elettriche che ogni mese Enel inoltra a buona parte delle 25,7 milioni di famiglie, al cui interno ci sono pure le 4.873.000 di partite Iva italiane.

Un numero sufficientemente elevato da spiegare come gran parte delle forze politiche nazionali vogliano difenderli dagli “effetti del caro bollette”.

Ma non sarebbe più semplice se queste stesse forze politiche “chiedessero” al loro “dipendente” di dare alcune indicazioni sul “che fare” e magari estendessero tale domanda agli altri loro “dipendenti” in quanto da loro nominati al vertice delle 8.510 unità economiche partecipate dal settore pubblico?

Rileviamo poi che, sempre in ambito Enel, la domanda potrebbe essere espressa pure a Costanza Esclapon de Villeneuve, il cui nome come consigliere è collocato proprio sotto quello di Starace nell’organigramma del vertice di Enel dislocato nella sezione Governance –  cda – del “sito” del colosso energetico con solidissime radici in Italia.

Dobbiamo inoltre rilevare che Costanza Esclapon, come si legge sempre nella stessa sezione del “sito” di Enel, è membro del cda, ma anche del comitato nomine e di quello per la sostenibilità a dimostrazione della sua grande intelligenza, che pure io ho avuto il piacere e l’onore di beneficiarne in più occasioni nel corso della mia non breve vita professionale.

La fiorentina Costanza Esclapon, con significative esperienze in quel di Milano e poi naturalizzata romana, come si può leggere sempre sul “pluri-citato sito dell’Enel”, può infatti vantare le seguenti esperienze da non sottovalutare: ufficio stampa di Fondiaria dal 1990 al 1994, Menarini dal 1994 al 1997, ufficio stampa Enel dal 1997 al 2002, relazioni con i media di Intesa Sanpaolo dal 2002 al 2008, relazioni esterne di Wind dal 2008 al 2012, corporate communication di Alitalia (nel 2012), relazioni esterne Rai dal 2012 al 2016 quando ha fondato Esclapon & Co, società di consulenza di cui è ancora presidente pur avendo ruoli nel cda di Mediaset, Prelios SGR, del FAI, dell’Università di Pavia e, come ricordato, nel cda dell’Enel dal maggio 2020.

Corricula, quelli di Costanza Esclapon e Starace, dai quali è possibile attendersi una capacità di cogito che sicuramente può arricchire il livello del confronto che i comuni mortali si devono sorbire negli innumerevoli talk show che infestano i programmi televisivi.

E quale potrebbe essere il contributo alla soluzione delle numerose problematiche nelle quali il paese si dibatte se l’invito a partecipare fosse esteso alle lucide menti che guidano colossi “publici” quali Cdp, Inps, Agenzia delle entrat e Rai, ma anche aziende quotate come Eni, Poste Italiane, Mps, Leonardo, Italgas, Snam, Terna, Fincantieri, Saipem, Webuild, Telecom e Atlantia o realtà quali Intesa Sanpaolo, Ferrari, Unicredit, Generali, Exor, Nexi, Moncler, Campari, Tenaris e Recordati solo per citare un elenco fra le prime 20 società del Ftse Mib.

E quale sarebbe il contributo che il Paese potrebbe avere se al gioco partecipassero anche i top manager delle ben oltre 150mila società italiane con ricavi sopra i 2 milioni, che diventano 4.753 se la soglia di fatturato si colloca a 100 milioni, ma scendono drasticamente a 797 sopra i 500 milioni e crollano a 369 quando andiamo oltre il miliardo di ricavi?

È questa la classe dirigente a cui si fa riferimento quando tutti noi ci lamentiamo dell’incapacità del paese?

In parte si, ma non è solo questo il piatto a cui nutrirsi per concedere al Paese una opportunità di rinascere.

La fonte a cui il Paese dovrebbe abbeverarsi si estende alle figure appartenenti al mondo delle professioni e delle arti. Quelle che in Italia sono in numero decisamente elevato anche in termini di “capacità di fare” che storicamente hanno fatto la differenza fra noi ed il resto del mondo.

 

Di Alberto Nosari