I futures sull’azionario Usa cedono l’1,1-1,2%, preannunciando una partenza ancora in calo a Wall Street al termine di una settimana dominata dalle aspettative di ulteriori strette monetarie e di un rallentamento dell’economia.
Chiusura negativa ieri per i principali indici americani, con il listino tecnologico ancora a guidare i ribassi e lo S&P 500 scivolato sui minimi da giugno. Il Nasdaq ha perso l’1,4%, lo S&P 500 lo 0,8% e il Dow Jones lo 0,4%.
Mercoledì la Fed ha dato il chiaro segnale di essere disposta a tollerare una recessione come costo da pagare per riportare l’inflazione sotto controllo, segnalando ulteriori rialzi dei tassi di interesse per 125 punti base entro fine anno.
Intanto Goldman Sachs ha tagliato il target per quest’anno dello S&P 500 da 4.300 a 3.600 punti, ritenendo che la prospettiva di ulteriori decisi interventi sul costo del denaro peserà sulle valutazioni dell’azionario Usa.
Diverse altre banche centrali nel mondo ieri hanno seguito la decisione della Fed alzando i tassi, tra cui la Bank of England, la Norges Bank e la Banca nazionale svizzera, con quest’ultima che ha abbandonato i tassi negativi dopo quasi 8 anni.
Tra le poche eccezioni ci sono la Turchia, controcorrente rispetto al resto del mondo tagliando il costo del denaro nonostante un’inflazione all’80%, e la Bank of Japan, che ha confermato il proprio atteggiamento ultra-espansivo.
Tokyo è però intervenuta per la prima volta dal 1998 per frenare la caduta dello yen, scivolato sui minimi da 24 anni nei confronti del dollaro. Una mossa che secondo gli analisti è destinata ad avere un impatto di breve durata, poiché non risolve il problema alla base della debolezza della valuta, ossia una politica monetaria ancora accomodante rispetto alla svolta restrittiva degli altri paesi.