USA – Condannati ad una bassa crescita

La recente revisione del Pil americano al 2,1% nel quarto trimestre, rispetto al 1,8% precedente, non consente tuttavia particolari celebrazioni. Su base annua la crescita nel 2016 si attesta al 1,6%, il livello più basso dal 2009, primo anno di ripresa dalla Grande Recessione.

La situazione non è molto più entusiasmante nell’area euro che è tornata in territorio positivo da un paio di anni, ma cresce anch’essa in una forchetta compresa tra uno e due punti percentuali. Ancora più deludente è la performance dell’economia nipponica che ha sperimentato sei recessioni nell’ultima decade, mentre anche la Cina continua a rallentare ed il suo tasso di crescita “ufficiale” è sceso al 6,5%, il più modesto da quasi trent’anni.

Tornando agli Stati Uniti, l’economia a stelle e strisce, pur performando meglio rispetto alla quasi totalità delle economie sviluppate, presenta una crescita desolante, la metà del suo potenziale post recessivo ed ancora più modesta rispetto agli obiettivi economici del neo presidente che ha promesso una crescita del quattro per cento annuo.

Anche alcuni membri del board della Federal Reserve si sono spinti di recente ad affermare che sarà difficile stimolare ulteriormente la crescita. Le motivazioni al riguardo sono diverse, ma si possono concentrare nelle seguenti:

  • La Banca Centrale ha eliminato lo stimolo monetario ultra espansivo
  • Il mercato del lavoro è in una situazione di piena occupazione con il tasso di disoccupazione al 4,9%, ma salari stagnanti da oltre un decennio
  • L’inflazione è in ripresa e viaggia, da oltre un anno, al di sopra del target del 2% della Banca Centrale, sebbene la componente “core”, quella non condizionata dalla componente petrolifera, sia ancora al di sotto di tale soglia.
  • La produttività industriale non riesce a decollare
  • Il livello dei debiti privati sta di nuovo raggiungendo livelli di guardia preoccupanti, in particolare nel settore dei finanziamenti per l’acquisto di auto ed allo studio.

I detrattori del neo presidente Trump sostengono che l’economia americana entrerà in recessione nei prossimi due anni. L’affermazione può avere anche una validità statistica, in quanto il ciclo espansivo si stende ormai da otto anni, uno dei periodi più lunghi della storia economica del Paese ed è stato puntellato da uno stimolo monetario senza precedenti.

Considerata l’attuale situazione di partenza, sopra indicata, anche il target di crescita del tre per cento sembra inarrivabile ed i due pilastri della politica economica di Trump potrebbero farla invece ulteriormente deragliare dal ritmo attuale. Nello specifico, sia un incremento della spesa pubblica che la riduzione delle imposte rischiano di far lievitare il debito pubblico velocemente verso la soglia dei 25 trilioni di dollari nel solo primo mandato elettorale, dagli attuali venti ormai quasi raggiunti.

I segnali di rallentamento sono diffusi, ma non ancora allarmanti. Il settore più in difficoltà è quello delle vendite al dettaglio ed in particolare delle grandi catene commerciali che continuano a chiudere diversi punti vendita in tutto il Paese, fenomeno già in corso da alcuni anni ma che ora sta accelerando. Il deflusso verso le vendite online non è ancora sufficiente a compensare la perdita di posti di lavoro e la diminuzione di traffico nel settore tradizionale.

In realtà, la forza lavoro cresce solo dello 0,5% e la produttività di un punto percentuale, elementi che non possono consentire un target di crescita tra il tre ed il quattro per cento.

La Fed è inoltre un altro deterrente all’ulteriore espansione della crescita economica a stelle e strisce e non di poco conto. Infatti, proprio nel momento in cui l’economia stenta a decollare e ristagna, l’autorità monetaria è costretta ad aumentare i tassi di interesse per deflazionare le diverse bolle che si sono create su quasi tutte le assets class (azioni, obbligazioni, immobili, credito) e ricostituire qualche munizione nel caso il Paese piombi in recessione. Dopo i due rialzi dei tassi di interesse a fine dicembre 2015 e 2016, la Yellen li ha già alzati anche a marzo e secondo le previsioni ripeterà il movimento altre due volte, se non forse tre, e sempre di un quarto di punto.

CONCLUSIONI

Anche il dato di questa settimana sulle vendite di auto nel primo trimestre ed i prezzi in discesa dell’usato sono un ulteriore campanello di allarme che il consumatore americano, vero motore dell’economia a stelle e strisce, stia attraversando un momento di difficoltà in virtù della modesta crescita dei redditi e dell’aumento dei debiti privati.

Trump e la Yellen, due rivali in campagna elettorale, dovranno invece lavorare sempre più in sintonia per evitare che il rallentamento che sembra palesarsi non si tramuti in una brusca frenata od anche in una nuova recessione.