Politiche monetarie – Aumentano le pressioni su Draghi

Aumentano i temi di dissenso sul programma di Quantitative easing europeo. All’avvicinarsi del meeting annuale delle banche centrali, che si svolgerà da domani a Jackson Hole, e all’approssimarsi delle elezioni politiche in Germania, in calendario il 24 settembre, giunge la novità delle disparità fra Paesi che ne beneficiano.

A tenere banco fra le accuse a una politica monetaria troppo espansiva c’è infatti ora anche il tema della disparità. Non solo tra i Paesi che ne beneficiano, ma anche in termini di distorsioni nel ciclo economico che nel lungo periodo potrebbero essere più dannose rispetto al beneficio immediato.

A ormai quasi dieci anni dal fallimento della banca americana Lehman Brothers, non è più solo la Germania che si chiede se sia ancora produttivo persistere con tale politica monetaria ultra espansiva.

La scelta degli Stati Uniti di attuare l’inversione di rotta nel dicembre 2015 ha posto da tempo diverse questioni sui desk dei board delle altre principali banche centrali. E fra queste è doveroso citare quella sull’allineamento alla politica più restrittiva messa in atto dalla Federal Reserve.

E ciò è particolarmente di attualità in Europa, continente nel quale le scelte di politica monetaria espansiva adottate dalla Bce presieduta da Mario Draghi sono sotto tiro da tempo.

Contesto all’interno del quale gli attacchi si fanno ogni giorno più forti anche da una parte dell’opinione pubblica tedesca, che alla vigilia delle elezioni politiche del 24 settembre preferirebbe ritornare all’austerità degli anni passati.

Questo anche perché non è gradita l’attenuazione della “moral suasion” nei confronti dei Paesi più indebitati, Italia in primis.

C’è poi il problema del limite del 33% di titoli pubblici che la Bce può acquistare rispetto al debito complessivo di ogni singolo Paese. Numeri precisi sul livello di titoli già in portafoglio non ne vengono pubblicati, anche se di recente alcuni economisti sostengono che sia invece la Germania la più vicina. Tema rilanciato martedì dalle colonne de Il Corriere della Sera.

Di sicuro la quantità di titoli governativi tedeschi con tassi non negativi è ormai talmente ridotta che Draghi già da alcuni mesi ha aperto la porta agli acquisti di titoli corporate, alimentando nuove polemiche.

Il dibattito sul Qe è stato inoltre rinnovato nei giorni scorsi da un ex segretario del Tesoro britannico, Nick Macpherson, che ha definito tale politica monetaria una forma di eroina che crea dipendenza e allenta la disciplina fiscale dei governi, che si affidano più alle banche centrali che alle proprie capacità per mantenere il costo del finanziamento a livelli irrisori.

Ricordiamo comunque che Macpherson ricopriva già il ruolo presso il Tesoro quando la Bank of England cominciò il suo Qe, nel lontano 2009.

Una politica che la Gran Bretagna persegue quindi da otto anni, rendendo sicuramente meno forte gli effetti della sfuriata del britannico anche senza considerare i diversi rapporti che si sono creati con l’Unione dopo il voto sulla Brexit.

E tutto ciò anche se la Gran Bretagna rappresenta uno dei pochi esempi di successo delle politiche fortemente espansive, almeno guardando la crescita del Pil e senza soffermarsi troppo sulla gigantesca bolla immobiliare creatasi nella città di Londra.

Districarsi fra queste tematiche non è semplice anche se a parole sembra tutto facile. In realtà, le banche centrali sono entrate da anni in un vicolo cieco dal quale è difficile uscire. Una vera exit strategy non esiste perché non è stata ancora elaborata oppure semplicemente perché, forse, è impossibile.

Di colpo, comunque, negli ultimi giorni sembra essersi accentuato il coro dei fondamentalisti, di coloro i quali sono favorevoli a una politica monetaria ortodossa e non ultra espansiva. Il tutto nel nome delle regole del capitalismo economico, anche se non è così chiaro quali siano queste regole e forse neppure quale sia il capitalismo a cui si fa riferimento.

Le banche centrali sono comunque consapevoli che la politica monetaria vada “normalizzata” ed anche velocemente, ma temono che la cura sia peggiore della precedente medicina (Qe).

I quesiti in buona sostanza restano aperti e non sarà facile convincere i cittadini sulla validità delle scelte che saranno adottate, anche se appare certo che lo saranno. Ciò che resta incerto è il fattore tempo e quello della forza da imprimere alle scelte.