Mercati – Refrattari alla politica

La politica internazionale tiene banco, ma i mercati sembrano non accorgersene. Dall’elezione di Donald Trump in poi, gli investitori hanno trovato una nuova chiave di lettura alle (grandi) questioni politiche: non capisco, ma mi adeguo.

In filosofia, gli scettici la chiamavamo “epoché”: la sospensione del giudizio come unica soluzione possibile vista l’assoluta incertezza sulla conoscenza della realtà che ci circonda.

Le elezioni francesi hanno rintuzzato il ciclone LePen con il newcomer Macron, Merkel si vede costretta a fare i conti con una destra che incalza, dalle urne austriache esce il giovane viso di Kunz che già nel programma elettorale indicava l’alleanza con l’estrema destra, ormai forte di oltre il 27% dei suffragi, e poi c’è la Spagna dove l’impasse catalana si consuma nell’inevitabile gioco delle parti fatto di rinvii e minacce, nella speranza di trovare una soluzione onorevole per tutti. Non dimentichiamo, in ultimo, guardando in casa nostra, il voto al Senato per l’approvazione a colpi di fiducia del “rosatellum”, dato in realtà per scontato l’esito positivo tra mugugni e polemiche, reali o pretestuose.

“Tanta roba” nel linguaggio giovanile, ma i mercati corrono imperterriti per la propria strada con i listini, ovunque nel mondo ormai, ai massimi di sempre (si considerino gli indici MSCI sui paesi sviluppati e emerging markets, espressi entrambi in dollari), tassi d’interesse che veleggiano comunque su livelli molto bassi  (il tasso swap in euro traccheggia in area 0,85) e un euro tornato sui livelli del gennaio 2015.