Astaldi – effetto Maduro sui conti trimestrali

Astaldi alza il velo sui conti del terzo trimestre che risentono, in negativo, della posta straordinaria della svalutazione del credito verso il Venezuela dopo l’aggravarsi della crisi debitoria del paese del Centro America che è sfociata, peraltro, nella dichiarazione di default selettivo da parte dell’agenzia di rating da parte di S&P.

Alla luce di quanto sopra, diventa indispensabile una doppia lettura dei numeri approvati dal Cda, come pure del conseguente piano di rafforzamento patrimoniale che il mercato, al momento, ha interpretato nel peggiore dei modi penalizzando il titolo che ha dimezzato il proprio valore in poche sedute.

Partendo dai dati effettivi, vale a dire ex default Venezuela, si rileva come la società abbia proceduto alla svalutazione del 53% della propria esposizione creditoria complessiva di 433 milioni di euro verso il paese, in termini assoluti: 230 milioni. Astaldi ritiene la percentuale congrua e prudenziale, anche se resta evidente che solo l’effettivo evolversi della possibile proposta di rinegoziazione del debito sovrano proposta dal Presidente Maduro ai suoi creditori potrà confermare o meno l’appropriatezza della scelta.

Nei conti riesposti nella colonna in colore azzurro della tabella di seguito riprodotta, il tutto si traduce in una perdita finale di gruppo al terzo trimestre di 143,3 milioni di euro.

Stante ciò, il gruppo Astaldi sta elaborando insieme alle principali banche di relazione un rilevante piano di rafforzamento patrimoniale di importo complessivo pari a 400 milioni suddiviso per metà in un aumento di capitale cui l’azionista di riferimento ha già confermato il proprio impegno pro-quota alla sottoscrizione e, per i restanti 200 milioni, attraverso l’emissione di ulteriori strumenti finanziari – di cui non è specificata la natura, sebbene risulti probabile di tipologia obbligazionaria – diretti al miglioramento della struttura finanziaria.

Sempre parte del programma è la rinegoziazione di alcuni parametri finanziari (covenants) legati a contratti di finanziamento per non compromettere il normale prosieguo dell’attività commerciale. Nella stessa ottica va ugualmente letta la concessione di una linea di credito committed per 120 milioni da parte di un pool di banche composto da IntesaSanPaolo, BNP Paribas, Banco BPM, HSBC e Unicredit.

In chiave positiva devono poi essere visti il regolare avanzamento del processo di de-risking delle attività, con una focalizzazione sulle aree geografiche a maggiore o elevata stabilità e la conferma di un portafoglio ordini di 26 miliardi, 18 dei quali relativi a lavori già in esecuzione. Ancora benevolmente va interpretato il proseguimento del piano di dismissioni che vede già realizzato il 40% di quanto preventivato entro il 2018, afferma il comunicato della società.

Viene infine rivista la guidance per fine anno che conferma la crescita dei ricavi del 5% ed un margine Ebitda compreso tra 11-12% ma abbassa il margine Ebit (post-svalutazione) tra il 3 e il 3,5%. La posizione finanziaria netta viene stimata a circa 1,15 miliardi.

Passando, in ultimo, all’analisi dei dati trimestrali si registra una flessione dei ricavi sul a/a di circa il 9%, un margine, Ebitda del 12,8% e un margine Ebit che, in assenza della svalutazione, si sarebbe collocato al 10,9%. La lettura completa dei primi nove mesi avrebbe viceversa comportato una crescita dei ricavi e della marginalità sia a livello di Ebitda che di Ebit. Nella realtà dei fatti, scontando quest’ultimo svalutazioni per oltre 234 milioni, porta l’utile al lordo degli oneri finanziari a 29 milioni (1,3% se espresso come margine) che si tramutano in una perdita ante imposte prossima a 116 milioni. Nettata dell’impatto fiscale e delle minorities il tutto si traduce in una perdita netta di gruppo nei primi nove mesi di 87,7 milioni.

L’ultimo capitolo riguarda la posizione finanziaria netta ( 1389 milioni) che peggiora al 30 settembre di circa 300 milioni rispetto a fine 2016, sebbene Astaldi conferma nella guidance, come già rilevato, un miglioramento per fine esercizio a 1,15 miliardi.