Draghi e il dilemma dell’inflazione

Il dato sull’inflazione uscito ieri ha evidenziato un imprevisto arretramento dell’indice dei prezzi al consumo nell’Eurozona nel mese di aprile.

L’inflazione core, il valore di inflazione depurato dell’effetto delle componenti più volatili relative all’energia, beni alimentari, alcolici e tabacco, ha segnato un valore di 0,7%, contro lo 0,9% atteso dagli analisti.

Ormai trascorsi 38 mesi dall’avvio del programma di Qe, attraverso 2.400 miliardi di euro di acquisti di titoli pubblici e privati, l’inflazione core è rimasta sostanzialmente la stessa di tre anni fa.

Tenendo presente che l’unico obiettivo della Bce è il raggiungimento del target di inflazione poco sotto al 2%, quali altre manovre dovranno essere condotte?

Allungare la scadenza del programma di acquisti ben oltre settembre 2018, abbassare ulteriormente i tassi d’interesse o condurre le aspettative di un rialzo dei tassi ben oltre il medio termine, sono tutte misure che la Bce potrebbe valutare nei prossimi mesi.

La crescita dei prezzi al consumo langue, malgrado l’attivo della Bce sia salito al livello record di 4,5543 trilioni di euro e sia destinato ulteriormente a crescere.

La crescita economica è soddisfacente e, pur con velocità alterne tra i diversi Paesi dell’Unione, si attesta al 2,5 per cento.

Recentemente, Draghi ha confermato che vi sia stato un rallentamento nei mesi di febbraio e di marzo sull’economia tedesca che basa gran parte della sua forza sulle esportazioni. Rallentamento che è stato imputato principalmente ai possibili risvolti di una guerra commerciale planetaria.

La Bce continua nel suo programma di politica economica ultra espansivo, mentre la Fed ha già ridotto i suoi asset di 104 miliardi di dollari da inizio ottobre a fine aprile.

Nel grafico sottostante è descritto il peso percentuale dell’attivo delle due banche centrali nei confronti dei rispettivi Pil.

Ubs ha tagliato le stime della crescita dell’Eurozona dal 2,5% al 2,2%, in scia al debole risultato del primo trimestre, mantenendola al 2% per il 2019, abbassando quelle di Germania e Francia rispettivamente dello 0,3% e dello 0,4 per cento.

L’Italia continua a sotto-performare la crescita dell’Unione, oramai consecutivamente dall’inizio del 2010.

Il Quantitative Easing europeo è stato fondamentale per mettere in sicurezza il sistema bancario e contenere la lievitazione dei debiti pubblici, ma inefficace per contrastare la bassa crescita dei prezzi ripetendo lo stesso fenomeno verificatosi in Giappone, al contrario di Stati Uniti e Gran Bretagna, Paesi nel quali il tasso di inflazione è risalito al di sopra del due per cento.

In definitiva, l’obiettivo della Bce si dovrà limitare a mantenere un soddisfacente livello di crescita economica agevolato dai tassi ancora negativi o molto contenuti per quanto sarà ancora possibile.

Questa prolungata politica espansiva rischia, tuttavia, di ridurre le armi di difesa qualora il rallentamento economico si protragga anche nei prossimi mesi, a differenza della Federal Reserve che sta, invece, velocemente normalizzando i tassi di interesse.