Cina – Il sistema bancario del dragone di carta

Gli ultimi dati macro economici pubblicati ad inizio settimana testimoniano che la crescita della prima economia asiatica rimane tonica, ma evidenziano qualche segnale di rallentamento che ormai si ripete da diversi trimestri.

Quello che più allarma non sono tanto le conseguenze della guerra commerciale reciproca che si sta scatenando tra Stati Uniti e Cina, ma il calo recente della quantità di credito erogato in particolare dalle banche collaterali domestiche, le cosiddette “shadow banking”.

Queste ultime hanno finanziato una bolla creditizia di dimensioni preoccupanti che Governo e banca centrale cinese sono ora costrette a gestire con delicatezza per evitare che possa scoppiare con un effetto domino pericoloso anche a livello mondiale.

IL SETTORE IMMOBILIARE

Le valutazioni del comparto sono le più elevate al Mondo, superiori a quelle delle economie occidentali, con l’unica eccezione della California.

La banca centrale cinese ha tuttavia risorse limitate per evitare un “credit crunch” di qualche trilion di dollari nel sistema finanziario interno qualora le quotazioni iniziassero a flettere dopo anni di continua ascesa.

Nelle scorse settimane, i media finanziari si sono focalizzati sull’impatto economico della guerra commerciale tra Washington e Pechino con l’applicazione delle prime tariffe doganali, mentre le tensioni nel settore bancario interno cominciano ad accentuarsi.

L’EFFETTO SUL MERCATO AZIONARIO

L’impatto delle tensioni creditizie ha già lasciato il segno sul listino di Pechino con l’indice che è in fase correttiva con una discesa superiore al 20% dal picco annuo dello scorso gennaio.

L’ETF del settore finanziario accentua tale caduta ad un -26%.

UNA ECONOMIA TROPPO DIPENDENTE DALLE BANCHE

Molto frequentemente si parla di quando e da dove partirà la prossima recessione mondiale. Il primo riferimento va sempre agli Stati Uniti, Paese che tuttavia ha dimostrato una crescita costante negli ultimi anni sebbene drogata, per un periodo molto esteso, dalla liquidità del “Quantitative Easing”.

Si ignora, al contrario, che la situazione creditizia cinese è assai più deteriorata, in virtù di un’espansione troppo accelerata negli anni precedenti.

Il debito totale (pubblico+privato) della prima economia asiatica è stimato superiore al 300% del Pil.

Un esempio è utile per relativizzare la dimensione finanziaria del colosso cinese.

Molti pensano che la più grande banca al Mondo sia JP Morgan o Deutsche Bank.

In realtà, la prima è l’Industrial Commerce Bank of China, seguita dalla Construction Bank of China e dall’Agricultural Bank of China. In quarta posizione la Bank of China e quinta la Mitsubishi Financial Corp, istituzione nipponica ma con gran parte delle proprie attività in Cina.

Solo al sesto posto si colloca JP Morgan.

Riguardo agli attivi, tra le prime 60 istituzioni finanziarie mondiali le più grandi banche cinesi totalizzano l’impressionante cifra di 22 trilion di dollari, mentre gli attivi delle banche americane non superano i 10 trilion di dollari. In questo novero non sono, inoltre, contemplati altri $15 trilion in capo al settore bancario collaterale cinese (“shadow banking”).

E’ necessario inoltre rimarcare che il Pil della Cina è solo di 12 trilion di dollari rispetto agli oltre $18 trilion degli Usa.

IL RISCHIO DI UNA PROSSIMA CRISI

Il tentativo del governo cinese di ridurre l’esposizione delle banche domestiche ed incrementare la solidità finanziaria del sistema bancario ha prodotto, invece, un ulteriore deterioramento almeno fino ad ora.

Gran parte del debito è stato spinto verso il settore immobiliare.

A Pechino, il costo medio di un appartamento è salito a $679.869 con i tassi di interesse sui finanziamento ipotecari stabili al 5%. Su un orizzonte temporale a 30 anni, la rata mensile di un mutuo si aggira intorno ai $3.650 mentre il reddito medio più elevato nella capitale cinese non supera i $1.500.

Il tasso di proprietà è pari al 90%, il più elevato al Mondo, ed il 70% tra i “millenials” che diversamente faticano a sposarsi senza un alloggio.

I NUMERI CHE PREOCCUPANO

Secondo recenti stime, il settore immobiliare costituisce il 30% del Pil domestico ed il 50% del debito (pubblico+privato).

Si tratta di numeri impressionanti che testimoniano di quanto denaro sia stato convogliato in attività scarsamente liquide e il cui valore comincia ad essere fuori controllo.

Passando agli affitti, il valore medio di una locazione a Pechino si attesta a $856, pari ad oltre il doppio del reddito mensile percepito nella capitale.

Negli Stati Uniti, a parte la California, molti locatari pagano meno del 25% rispetto al reddito percepito.

Questo è anche uno dei motivi per i quali gli investitori cinesi hanno iniziato ad acquistare immobili nei Paesi anglosassoni, giudicati più a buon mercato, ed in particolare in Canada, Stati Uniti, Australia e Nuova Zelanda, scatenando una vera e propria fuga di capitali.

Per evitare queste speculazioni le autorità monetarie hanno introdotto controlli sui capitali i quali, al momento, hanno solo generato un ulteriore incremento delle quotazioni immobiliari interne.

In sintesi, la ricchezza cinese è troppo concentrata in un unico asset: l’immobiliare.

I RISCHI

Sui mercati vige la convinzione che la banca centrale domestica possa risolvere qualsiasi situazione di tensione finanziaria iniettando liquidità nel sistema creditizio e intervenendo direttamente, come già avvenuto in passato, per scongiurare alcuni default di società sia pubbliche che private che hanno obbligazioni in scadenza che faticano a rinnovare.

In realtà, con 3,1 trilion di dollari di riserve non sarà facile gestire un asset, quello immobiliare, che ha raggiunto nel Paese la dimensione di $45 trilion nel caso che i prezzi inizino a calare.

Lo yuan, la divisa locale, sembra avere già intuito tale fragilità e prosegue un lento deprezzamento nei confronti del dollaro, secondo alcuni economisti più imputabile alle tensioni commerciali che non alla contrazione dei flussi creditizi. Da inizio settimana, il rapporto con il dollaro è scivolato al di sotto della soglia psicologica dei 6,70 yuan, arrivando fino agli attuali 6,77.

Rispetto al minimo di 6,25 di inizio febbraio la svalutazione del cambio supera l’otto per cento, a livello di altri Paesi emergenti assai meno nobili e meno quotati.