I record americani ed i crolli italiani

Wall Street ha segnato ieri l’ennesimo massimo storico, consacrando il più esteso bull market della storia: 3.453 giorni. Quasi dieci anni di crescita ininterrotta senza soffrire alcuna correzione superiore al 20 per cento.

Il mercato azionario americano ha così superato la precedente striscia record registrata dall’ottobre del 1990 al marzo del 2000 e lo ha fatto praticamente con tutti i suoi principali indici: dallo S&P500 al Russel 2000, transitando per il Dow Jones Transportation.

Il tutto all’interno di un contesto economico globale che vede gli Stati Uniti ritornati con forza al centro della scena e dettare l’agenda dei lavori ai grandi del mondo grazie anche al supporto di una classe dirigente più “coesa e determinata” che mai.

E questo scenario potrebbe o dovrebbe rappresentare per il nostro Paese il punto di riferimento, anche se apparentemente la distanza che ci separa diventa ogni giorno più estesa.

Diventa quindi difficile capire quali siano i motivi che spingono l’Italia a creare una voragine apparentemente incolmabile con gli Stati Uniti d’America; i partner storici i cui interessi si collocano ancora oggi vicino ai nostri destini.

Una responsabilità risiede sicuramente nella classe dirigente, e la riprova di questo ci è fornita anche dal recente dramma del crollo del ponte Morandi a Genova. Un crollo che ha trascinato nel vuoto cinquanta anni di storia dimostrando il fallimento di un modello incapace di rigenerarsi selezionando i migliori a cui assegnare ruoli di responsabilità.

Una voragine dalla quale è comunque possibile risalire in quanto l’Italia detiene i classici fondamentali per vincere: storia, cultura, posizionamento geografico ed un popolo unico anche nella capacità di lavorare i materiali e giungere la dove gli altri spesso si perdono. Dobbiamo quindi riprendere saldamente nelle mani il timone e condurre il Paese verso quella rinascita che ci meritiamo.

E noi di Market Insight non possiamo che partire dai mercati finanziari, piazza Affari in testa, che dalla prima metà di maggio ha iniziato a soffrire palesando l’assoluta mancanza di attori. Nessuna voce si è levata fino a oggi ad incitare una riflessione sul ruolo e significato degli stessi all’interno dell’economia nel suo insieme, mentre il Ftse Mib lasciava sul terreno circa il 15% del proprio valore

Un atteggiamento incomprensibile anche perché il Paese si trova alla vigilia di un cambiamento epocale dei suoi parametri: piccolo è bello, ma medio-grande forse è meglio in un mondo globale ove la competizione è planetaria.

In buona sostanza quelle PMI che sono sopravvissute allo tzunami della crisi degli ultimi 10 anni e che ancora oggi rappresentano la spina dorsale della nostra economia devono trasformarsi per uscire vincenti da una competizione che si gioca sempre più su scala globale. Ma per farlo devono trovare il terreno fertile anche sotto il profilo dei mercati finanziari e quindi degli strumenti utilizzabili per raggiungere le dimensioni ottimali.

Il sistema deve in sostanza trovare quella coesione sulla quale costruire le infrastrutture da mettere a disposizione del sistema affinché si concretizzi quella ripresa economica che dia speranza ad un popolo oggi sofferente.

È possibile che all’interno dei primi 50 gruppi bancari, assicurativi e industriali non si riesca a trovare un punto di partenza comune? È accettabile che dalle nostre università e centri di ricerca non emerga un pensiero in grado di fissare un punto di partenza? È comprensibile che dalle componenti sociali-politiche del Paese non giunga un progetto capace da coagulare chi ha le leve per realizzare le condizioni per agevolare la rinascita?

Noi restiamo convinti che tutto ciò possa avere soluzioni ed a tal fine continueremo ad impegnarci sollecitando gli attori a muoversi. Cercheremo inoltre di creare quei “luoghi” di riflessione ove prendere con ragionevolezza le decisioni necessarie.