Banco Bpm, dopo il grande sforzo in tema di de-risking, che ha portato la banca a un livello di crediti deteriorati sul totale inferiore al 10%, ora si concentrerà sulla riduzione degli Utp, che rappresentano circa i due terzi delle posizioni problematiche ancora in portafoglio.
A parlare della nuova strategia dell’istituto, che troverà compimento nel nuovo piano che sarà presentato all’inizio del prossimo anno, è Mattia Mastroianni, responsabile gestione Npe di Banco Bpm, in un’intervista a Reuters.
La seconda fase della strategia del gruppo di miglioramento dell’asset quality partirà dalla suddivisione del portafoglio in due segmenti, uno ‘core’ e uno ‘non-core’, in modo da ottimizzare la gestione di questa categoria di crediti non performing.
Dal 2016 l’istituto guidato da Giuseppe Castagna ha smaltito circa 20 miliardi di Npl. A fine settembre, Banco Bpm aveva uno stock di crediti deteriorati lordi di 10,4 miliardi, di cui 6,9 miliardi relativi a inadempienze probabili.
L’Npe ratio lordo, ovvero l’incidenza dei deteriorati sugli impieghi complessivi, risultava quindi pari al 9,4 per cento. Un livello inferiore alla soglia del 10%, come ritenuto idoneo dalla Bce.
Tuttavia, un ratio del 5% si sta affermando come nuovo benchmark per il sistema, dopo che l’EBA ha individuato tale soglia nell’ambito delle proprie guideline sugli Npl.
Quindi il prossimo passo per Banco Bpm sarà un attento focus sugli Utp, per i quali sono state aumentate le coperture al 37%, proprio per agevolare anche eventuali cessioni.
“Stiamo passando al vaglio tutte le nostre esposizioni Utp, dividendole in due categorie che potremmo definire “core” e “non-core” in base alla controparte, ovvero quelle per cui consideriamo fondamentale costruire un futuro relazionale, da quelle meno strategiche”, ha spiegato Mastroianni.
In seguito alla segmentazione del portafoglio verranno poi decisi quali saranno gli strumenti più opportuni per ridurre le esposizioni. In ogni caso se vi saranno cessioni saranno di dimensioni non elevate e la maggior parte delle posizioni rientreranno nel gruppo considerato “core”. L’obiettivo della banca è infatti non rescindere i rapporti con clientela che può rivestire un interesse strategico.
Tra le opzioni che verranno prese in considerazione, oltre alla vendita e all’utilizzo di servicer esterni, vi è la partecipazione ai cosiddetti “fondi ad apporto”, che sono fondi ai quali le banche conferiscono pacchetti di Utp in cambio di quote azionarie.