Il cda di Mediobanca, riguardo alla seconda proposta (modifiche al voto di lista) presentata dal socio Delfin, ritiene che tale proposta, calata nella specificità dell’azionariato di Mediobanca, possa non garantire la rappresentanza degli investitori istituzionali ed appare in contraddizione rispetto all’evoluzione degli assetti proprietari.
La composizione dell’azionariato nelle società quotate, ove, come nel caso di Mediobanca, non è presente un socio di controllo, registra da tempo una crescita del peso degli investitori istituzionali che rappresentano oggi circa il 50% del capitale della banca; alla capacità del mercato di monitorare l’andamento dell’istituto, asserita anche dal socio Delfin; al dichiarato obbiettivo di Delfin di diversificare ulteriormente la composizione del board aumentando la quota di pertinenza delle minoranze e il numero delle liste rappresentate.
La proposta Delfin contiene infatti le seguenti criticità:
- Il numero fisso (in caso di presentazione di più di due liste) di quattro esponenti delle minoranze, per un consiglio che può essere composto in numero variabile tra 9 e 15 componenti, appare non bilanciato. Se per la media delle banche italiane la lista di minoranza rappresenta meno del 20% del totale, con la proposta in esame si arriverebbe al 36% e al 44% nel caso di cda di 11 oppure di 9 componenti;
- la formula proposta per i quozienti, al ricorrere di determinate circostanze, può escludere la nomina di un amministratore eventualmente proposto dai rappresentanti degli investitori istituzionali. Nell’ipotesi, ad esempio, in cui la lista del cda dovesse risultare prima per numero di voti, in presenza di due liste di minoranza, quella meno votata (che ben potrebbe essere la lista espressione del mercato) riuscirebbe ad esprimere consiglieri solamente ove essa abbia ottenuto almeno un quarto dei voti conseguiti dalla prima lista di minoranza e comunque un numero di voti che superi la soglia del 5% del capitale. In scenari come quello appena descritto, il meccanismo proposto dal socio Delfin potrebbe portare all’elezione tutt’al più di un solo rappresentante del mercato con la concreta possibilità che tutti e quattro gli amministratori spettanti alle minoranze siano tratti da un’unica lista;
- la soglia fissata al 5% del capitale per nominare un consigliere della seconda lista di minoranza riduce la probabilità che partecipino al board esponenti nominati dagli investitori istituzionali rendendo probabile, viceversa, che essa sia espressione di azionisti con quote di partecipazione significative ma non rappresentative dell’azionariato diffuso.
Il cda ritiene di superare le criticità sopra evidenziate e al contempo ottenere gli obiettivi indicati dallo stesso socio Delfin di maggior rappresentatività delle minoranze formulando una proposta alternativa che:
- assegna alle minoranze un numero variabile di amministratori in funzione della dimensione del cda nella misura pari al 20% dei componenti (percentuale superiore alla media delle banche quotate al Ftse Mib), ossia 3 amministratori nel caso il board abbia almeno 13 membri. Tale proporzione, a differenza della proposta Delfin evita, a giudizio del cda, una eccessiva polarizzazione tra maggioranza e minoranza e favorisce una costruttiva “diversity” di tipologia di soci rappresentati nel board a beneficio della sana e prudente gestione della banca;
- assicura la presenza in cda alla componente rappresentativa degli investitori istituzionali, attraverso la riserva di un amministratore anche quando la lista da loro presentata ottenesse voti inferiori a quelli delle altre liste di minoranza;
- riduce dal 5% al 2% del capitale la soglia minima di voti per nominare un amministratore tratto dalla seconda lista di minoranza.