Una lettura attenta delle parole del vicepresidente della BCE

La stabilità finanziaria nell’eurozona è solida e sostenuta dal  generalizzato miglioramento dei dati economici. L’intera area è oggi molto più forte e preparata ad affrontare eventuali shock finanziari si dovessero manifestare in futuro. Non esistono in Europa segnali di sopravvalutazione degli asset finanziari. Questo, in estrema sintesi, il messaggio trasmesso dal vicepresidente della BCE, Vitor Costancio, durante la conferenza sul tema della “stabilità finanziaria” tenutosi lunedì a Lisbona presso la Banca del Portogallo.

Il pericolo maggiore all’orizzonte sarebbe rappresentato da un cambiamento nella valutazione del rischio nei mercati finanziari e dalla conseguente  variazione al ribasso dei prezzi degli attivi. Le perdite che colpirebbero gli investitori , incluse molte istituzioni finanziarie, avrebbero un effetto diretto sulla ricchezza e sulla domanda. Vero è che un rialzo dei rendimenti sarebbe comunque associato al miglioramento della situazione economica generale, sottolinea Costancio, che comporterebbe dall’altro lato crescita nominale più elevata contribuendo alla sostenibilità del debito.

Uno dei possibili inneschi di una correzione di mercato è la ricalibrazione delle politiche monetarie che stanno cominciando a prendere gradualmente corpo in contesti importanti. Gli operatori di mercato e gli investitori, che per definizione guardano al futuro, sembrano tuttavia non scontare alcuna correzione nei prezzi, nella convinzione che i cambiamenti di politica monetaria saranno assorbiti senza traumi.

Perché tutto questo avvenga, afferma il rappresentante della BCE, è essenziale che questa ricalibrazione si realizzi in maniera graduale e, se le banche centrali adotteranno questo approccio prudente – cosa alla quale stiamo assistendo – , solo un evento geo-politico di grande portata potrebbe generare cambiamenti traumatici. Questo non va dimenticato, poiché è noto che i mercati sono spesso imprevedibili e tendono a reazioni esasperate, soprattutto quando, come nel presente, questi rischi sono numerosi e si arriva da un lungo periodo di bassa volatilità dei prezzi degli asset.

Costancio ha sottolineato come sia ancora ben vivo il ricordo della materializzazione improvvisa dei “tail risks”, vale a dire di quei rischi estremi che statisticamente hanno bassissima probabilità di comparire, e che la memoria di ciò è alla base di un persistente eccesso di domanda per attivi sicuri, della crescita del premio al rischio per il mercato azionario, della riluttanza ad investire nell’economia reale e della persistente bassa crescita salariale.

L’aumentata disuguaglianza contribuisce a spiegare il più elevato tasso di risparmio e i minori consumi, la diminuzione delle opportunità di investimento dovute ad una “stagnazione secolare”, come la definisce l’economista spagnolo, è la chiave di lettura più bassi livelli d’ impiego.

Gli investitori desiderano un premio al rischio per gli investimenti più rischiosi e questo è esplicito nell’analisi dell’ERP (equity risk premium) – il rendimento eccedente quello dei titoli senza rischio – che è cresciuto a partire dagli anni 2000 sia per effetto dell’aumento degli utili che per il crollo del tasso risk-free, quest’ultimo in virtù dell’iniziale ricerca di alternative d’impiego sicure e, successivamente, grazie alla politica monetaria estremamente accomodante e non convenzionale.

La ricerca del binomio “rendimento/sicurezza” in una sorta di opzione “put concessa dalle banche centrali” è stato un liet-motiv dell’anno passato che gli operatori stanno comprendendo non sarà più disponibile in futuro via via che la ricalibrazione delle politiche monetarie prenderanno corso. Questo si è visto a novembre scorso, dopo le elezioni presidenziali americane, quando si è avvertito un principio di rotazione degli investimenti  da obbligazioni ad azioni, con i corsi delle prime in calo e i prezzi delle azioni in rialzo.

L’esaurirsi della fase reflativa già durante la primavera ha comportato un rialzo dei prezzi dei titoli a reddito fisso, ma non ha rallentato la corsa del mercato azionario, cosa che ha alimentato il timore di una correzione possibile specie negli USA dove, contrariamente all’Europa,  i rapporti prezzo/utili corretti per il fattore ciclico stanno molto al di sopra delle medie storiche.

La probabilità di ribasso ricavata dai prezzi delle opzioni rimane tuttavia ancora bassa. In generale, sono i tassi d’interesse  e le obbligazioni che impattano maggiormente finanziariamente e economicamente, anche se non esistono oggi segnali evidenti di variazioni nei rendimenti, pure in presenza di aspettative condivise per la ricalibrazione delle politiche monetarie nel mondo .

Con la sola eccezione di qualche caso di sopravvalutazione del mercato immobiliare residenziale in singole e circoscritte aree, più esteso viceversa per quello commerciale, con la precisazione che strumenti macroprudenziali sono stati tempestivamente adottati a riguardo, nell’area euro, sottolinea Costancio, non esistono bolle finanziarie. Nonostante ciò, la BCE ha valutato il possibile impatto di un rialzo di 100 basis points nei rendimenti ed il risultato è confortante  specie per il settore non-finanziario privato e per i consumatori che ne risentirebbero solo in misura contenuta .

Un improvviso repricing del mercato del fixed income comporterebbe, viceversa, perdite molto pesanti per gli investitori con grandi esposizioni in titoli obbligazionari che, nell’area euro, colpirebbe in particolare il settore finanziario non-bancario. In altri termini, i grandi investitori a lungo termine: assicurazioni e fondi pensione in primis che mantengono circa il 40% dei propri attivi in obbligazioni con un impatto ancora più elevato in virtù dell’accresciuta duration e quindi sensitività ai tassi, generata proprio dai livelli molto bassi di questi ultimi anni.

Sul settore bancario, le simulazioni effettuate sulla base di due scenari di stress, uno globale con un rialzo dei rendimenti di 120 bp e crollo del 30% dei corsi azionari ed uno europeo di rialzo di 75 bp distribuito in maniera non uniforme tra i diversi paesi (nessun rialzo in Germania e fino 200 bp nei paesi più vulnerabili) vedrebbero mediamente una perdita di circa il 2% del Capitale di primo livello (CET1) rispetto alla situazione corrente di una confortante media europea del 14%.

Un risultato quindi che tranquillizza, ancor più alla luce del riuscito isolamento degli effetti di contagio dei recenti casi di crisi bancarie che hanno rimarcato l’importanza di trovare soluzioni efficaci e tempestive per quegli istituti che presentano ancora dei punti di debolezza. Un riferimento esplicito quindi alla questione degli NPL che, nonostante il forte miglioramento ottenuto attraverso le cessioni avvenute, restano un motivo di preoccupazione in alcuni o parecchi paesi (la traduzione di “several” si presta alla doppia interpretazione).

Si aggiunga infine che l’eccesso di capacità produttiva, mutuando il termine dal gergo industriale, e le inefficienze nella struttura dei costi continueranno a pesare sulla profittabilità in specifici mercati bancari.

Un richiamo infine alla politica macroprudenziale, il cui obiettivo primario è di impedire e minimizzare gli effetti del rischio sistemico rafforzando il sistema finanziario e normalizzando il ciclo finanziario. Dal novembre 2014 sono oltre 100 le decisioni su misure macroprudenziali assunte dalla BCE con riferimento specifico a singoli paesi e istituti. Inoltre, il processo di revisione in corso del quadro di riferimento normativo macroprudenziale nella UE rappresenta un’occasione straordinaria per rendere questi strumenti disponibili alle autorità di vigilanza su una base legale omogenea. Non solo, il ripensamento necessita di chiarire la ripartizione tra strumenti di vigilanza macro e micro per assicurare la loro attivazione con assoluta tempestività.

In ultimo, un chiaro riferimento al problema dell’intermediazione del credito, ancora frazionale ma in crescita, che non passa più attraverso il sistema bancario tradizionale, ma tramite le istituzioni finanziarie non-bancarie, problema che rende oggi insufficienti, dice Costancio, le misure esistenti. In questa area i rischi maggiori sono sostanzialmente legati a due aspetti: il mismatch delle scadenze (quindi la differenza di durata tra raccolta e impieghi) e la leva. L’attuale faretra di strumenti a disposizione delle autorità di vigilanza su questa categoria di operatori di mercato è limitata ed è più che auspicabile che l’Europa ne allarghi la disponibilità per coprire queste aree di rischio.

Un esempio, con riferimento al mismatch delle scadenze, la raccomandazione del FSB (Financial Stability Board) sulle attività di asset management, che consente alle autorità di indicare gli strumenti idonei per la gestione del rischio di liquidità in situazioni straordinarie per i fondi aperti (ad esempio la sospensione delle possibilità di riscatto in periodi di stress). Costancio si augura inoltre di poter allargare l’utilizzo, ai fini della vigilanza, di margini e haircut nei mercati degli strumenti finanziari per controllare la costruzione di posizioni a leva eccessiva.