Generali – I possibili scenari dopo l’ultima vicenda di Mediobanca

Mediobanca e Generali, due destini che si incrociano da sempre. L’inattesa uscita del gruppo Bolloré dal patto di sindacato storicamente presente nell’azionariato dell’istituto di piazzetta Cuccia segnerà un radicale cambiamento nella banca milanese. Un ribilanciamento degli equilibri che non potrà non far sentire i propri effetti anche su quelli della compagnia triestina, di cui Mediobanca è il primo azionista con il 13,04 per cento.

Gli equilibri della struttura di controllo di Mediobanca

La disdetta all’adesione al patto anticipata del gruppo Bolloré ha portato il capitale vincolato dall’accordo al di sotto della soglia del 25%, che in base alle clausole attuali comporta lo scioglimento anticipato dello stesso (la cui scadenza naturale è fissata al 31 dicembre 2019), a meno che gli altri membri rimasti non decidano di apportare modifiche, magari stipulando una nuova intesa su una quota di capitale più ridotta. Sugli esiti della ricognizione sarà molto importante la posizione di UniCredit (primo azionista del patto con l’8,4% di Mediobanca).

Nel caso si propendesse per lo scioglimento, Mediobanca accelererebbe ulteriormente la sua trasformazione in public company, processo che è già stato avviato da tempo se si considera il peso preponderante degli investitori istituzionali che attualmente sono arrivati a detenere una quota pari al 47% del capitale, mentre il restante 25% fa capo al retail.

Le priorità di Generali

Il cambiamento nella struttura di controllo della banca guidata da Alberto Nagel come detto, scuote gli assetti delle Assicurazioni Generali in un momento in cui la compagnia è chiamata a definire alcune importanti scelte strategiche per il suo futuro

La compagnia triestina, infatti, nei prossimi mesi sarà interessata da due eventi chiave: la presentazione del nuovo piano industriale, che avverrà il prossimo mese di novembre, e il rinnovo del cda in scadenza nella primavera del 2019.

Le possibili mosse dei principali azionisti di Generali

Mediobanca, principale azionista delle Generali con una quota del 13,04% del capitale, rappresenta il baluardo del controllo della compagnia triestina. Tale quota, unita alle singole partecipazioni dei principali soci italiani, raggiunge il 23,24 per cento. Poi vi è un 9% in mano a fondazioni, enti e fiduciarie, mentre la restante parte di capitale è detenuta da investitori istituzionali e retail.

Un rimescolamento degli equilibri di piazzetta Cuccia potrebbe spingere gli altri azionisti italiani a rafforzare la propria presenza e unire le proprie forze. A cominciare dal secondo socio, l’imprenditore romano Francesco Gaetano Caltagirone, salito nei mesi scorsi al 4,01% del capitale e che secondo alcuni rumor, potrebbe arrivare al 5% (se non addirittura al 7% secondo altre indiscrezioni), magari approfittando del calo del titolo in scia all’innalzamento dello spread.

Caltagirone stesso potrebbe farsi promotore di una cordata che potrebbe coinvolgere la famiglia Benetton, che tramite Edizione Holding detiene il 3,04% di Generali, anche se in questo momento sono alle prese con la vicenda che vede coinvolta l’altra controllata Atlantia. Potrebbero poi fare parte del gruppo Leonardo Del Vecchio, che tramite la Delfin detiene il 3,15%, e il gruppo De Agostini con il suo 1,5 per cento. Anche se questi ultimi in passato avevano dichiarato di considerare la partecipazione come finanziaria e quindi disponibile per la vendita. Una possibilità che agli attuali corsi non sembra possedere particolare appeal.

Il timore è sempre che il gruppo Generali possa tornare ad essere nel mirino di qualche competitor. Nel recente passato sono più volte circolati i nomi di Axa e Allianz, mentre Intesa Sanpaolo aveva studiato una possibile combinazione industriale con il Leone di Trieste a inizio 2017 per poi accantonarla nel giro di un mese.

Per quanto riguarda Mediobanca, si ricorda che l’Ad Alberto Nagel ha più volte fatto presente l’intenzione di cedere una quota del 3% di Generali entro il 2019. Tuttavia, sembra poco probabile che ciò avvenga prima dell’assemblea che dovrà eleggere il nuovo board della compagnia triestina, considerando anche che gli attuali corsi di Borsa sono ancora inferiori ai valori di carico.

La governance

Con riferimento al governo societario, come detto, nella primavera del 2019 l’attuale board concluderà il suo mandato. Motivo per cui i principali soci hanno iniziato già a muoversi in vista dell’assemblea che dovrà eleggere il nuovo cda.

Per cominciare, ci sarà da designare la figura del presidente. L’attuale, Gabriele Galateri di Genola, supera i limiti anagrafici fissati dallo statuto e pare tramontata la possibilità di una modifica delle regole per permettere una sua ulteriore permanenza. Ragion per cui gli azionisti avrebbero avviato un confronto su altri profili. Le indiscrezioni indicano tra i candidati possibili i nomi di Giuseppe Recchi, ex presidente di Telecom, e di Massimo Tononi, da poco nominato presidente di Cassa Depositi e Prestiti.

In riferimento al Group Ceo Philippe Donnet, a favore di una sua conferma al timone di Generali giocano gli ottimi risultati ottenuti negli ultimi due anni, in cui ha completato con largo anticipo il turnaround industriale garantendo al contempo sostanziose cedole, in linea con quanto previsto con l’attuale piano industriale al 2018. Senza contare che il manager sta lavorando agli ultimi dettagli del nuovo piano strategico 2019-2021.

Il nuovo piano industriale di Generali

Prima del rinnovo board, i vertici di Generali il prossimo 21 novembre presenteranno il nuovo piano strategico. Secondo le prime indiscrezioni, nel luglio scorso il Group Ceo Philippe Donnet avrebbe presentato in cda una bozza, che a grandi linee avrebbe ricevuto un riscontro positivo, ma con qualche dettaglio da affinare. Negli ultimi giorni erano emersi rumor secondo cui Caltagirone e Del Vecchio avrebbero chiesto un piano più “coraggioso” per la crescita.

Nei mesi scorsi Donnet in un’intervista aveva sottolineato che l’ottimizzazione finanziaria, lo sviluppo e la crescita degli utili, nonché la trasformazione del business model saranno i pilastri del nuovo piano strategico.

In merito all’espansione, Donnet aveva fatto presente che sarà soprattutto organica, anche se verranno valutate eventuali acquisizioni qualora consentissero di accelerare la crescita. Il gruppo dispone anche degli 1,5 miliardi ricavati dalle dismissioni delle attività in Paesi non ritenuti più core, senza dimenticare le risorse generate dalla cessione di Generali Leben.

In merito alle potenziali acquisizioni, in occasione della presentazione dei risultati semestrali, il manager aveva affermato: “Vogliamo valutare in modo opportunistico m&a per diversificarci ulteriormente per linee di business e dal punto di vista geografico. Ciò significa che siamo molto interessati a opportunità nei danni così come nell’asset management”.

E proprio l’asset management è uno dei settori in cui il gruppo è maggiormente concentrato, dopo la recente acquisizione della quota di maggioranza dell’asset manager francese Sycomore e l’annuncio della scorsa settimana del lancio di Aperture Investors. E il manager nelle scorse settimana non ha escluso l’acquisizione di altri piccoli/medi asset manager molto specializzati.