Carige – I possibili scenari dopo l’amministrazione straordinaria

Ieri la Bce ha deciso di porre Carige in amministrazione straordinaria. Il tutto è avvenuto dopo che lo scorso 22 dicembre è mancato il via libera all’aumento di capitale da 400 milioni da parte dell’assemblea straordinaria per l’astensione dal voto da parte della Malacalza Investimenti, primo azionista dell’istituto ligure con il 27,55 per cento.

Il mancato ok all’aumento di capitale da parte dei soci ha portato poi alle dimissioni della maggioranza del board. I primi a dimettersi, lo scorso 23 dicembre, erano stati i consiglieri Lucrezia Reichlin e Raffaele Mincione. Ieri è stata la volta del presidente Pietro Modiano, dell’Ad Fabio Innoncenzi  e degli amministratori Salvatore Bragantini, Bruno Pavesi e Lucia Calvosa.

La decisione presa dalla Bce in merito a Carige è la prima di questo genere da quando ha introdotto il meccanismo di vigilanza unico sulle banche della zona euro. Da Francoforte hanno sottolineato che si tratta di un provvedimento di early intervention, “finalizzata ad assicurare la continuità e a perseguire gli obiettivi di un piano strategico”.

In questo senso, proprio per garantire una continuità gestionale dell’istituto, sono stati nominati commissari straordinari l’ex presidente Modiano e l’ex Ad Innocenzi, insieme a Raffaele Lener.

La continuità nella gestione e il nuovo piano strategico

“A parte il cambio di nome e molte firme che abbiamo dovuto mettere non cambia molto. È un fatto singolare, e credo abbastanza unico, che una amministrazione straordinaria si avvii confermando i vertici. Il che ha un bel significato: da domani non cambia niente. La gestione, i rapporti con i clienti, i colleghi vanno avanti sulla strada che avevano definito e che le autorità, con questo provvedimento, confermano essere quella giusta”, ha affermato Modiano in un’intervista.

“Sentire parlare di amministrazione straordinaria evoca scenari brutti ma una amministrazione straordinaria con conferma dei vertici e riaffermazione delle strategie è un’amministrazione straordinaria in continuità e che rafforza le prospettive di governance e non le indebolisce”, ha aggiunto il manager.

I commissari saranno ora totalmente concentrati sulla redazione del nuovo piano industriale. In continuità con la strategia in atto “verranno proseguite le attività di rafforzamento patrimoniale, di rilancio commerciale attraverso il recupero delle quote di mercato nei segmenti core, il de-risking attraverso la riduzione degli Npl e la ricerca di possibili “business combination”.

Lo stesso Modiano ha affermato nell’intervista: “I pilastri del piano a cui stiamo lavorando sono quelli che avevamo annunciato: stiamo lavorando per rilanciare questa banca. Andiamo avanti sul piano industriale e sulle ipotesi di aggregazione: per ora non c’è niente in vista ma dobbiamo prepararci a questa prospettiva”.

Tuttavia, i tempi sono molti stretti. Secondo indiscrezioni di stampa, la Bce avrebbe concesso tre mesi (prorogabili) per arrivare ad una soluzione definitiva per la banca.

Addirittura circolano rumor di una possibile convocazione dell’assemblea per l’inizio di febbraio, che vorrebbe dire disporre di poco meno di un mese per il nuovo piano e anche per alzare il velo sul bilancio del 2018.

Come si inserisce il Fitd

Tra i primi atti della rinnovata gestione di Carige ci sarà anche l’avvio di riflessioni con lo Schema Volontario di Intervento (che ha sottoscritto lo scorso 30 novembre un bond da 320 milioni emesso dalla banca) del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd) per rivalutare l’operazione alla luce del nuovo quadro venutosi a creare e al fine di consentire il prosieguo delle attività di rafforzamento patrimoniale dell’istituto.

Il bond paga una cedola annua del 13%, ma il mancato ok dell’assemblea all’aumento di capitale da 400 milioni che sarebbe servito a rimborsarlo, implica che il rendimento salga al 16 per cento.

Ieri Salvatore Maccarone, presidente del Fitd, alla stampa ha dichiarato: “Non era una sanzione, ma un elemento che avrebbe dovuto indurre l’assemblea ad aumentare il capitale e quindi a consentire la conversione in azioni. Questo non si è verificato quindi vedremo. Adesso dialogheremo con la banca con la quale c’è collaborazione assoluta”.

In base al regolamento del bond, inoltre, è prevista la possibilità di conversione in azioni al verificarsi di alcune condizioni, che potrebbe portare il Fitd ad assumere un ruolo rilevante nell’azionariato di Carige. Tuttavia, anche in questo caso bisognerebbe trovare un’intesa sulle modalità tecnica con la Bce. Al momento non ricorrono neanche esigenze patrimoniali, in quanto proprio l’emissione del bond ha consentito di ripristinare i livelli patrimoniali.

Secondo quanto riporta la stampa però, qualcosa potrebbe cambiare nel momento in cui la Bce comunicherà a gennaio alla banca i livelli minimi patrimoniali da rispettare per il 2019 nell’ambito dello Srep.

Qualora emergessero dei deficit patrimoniali per l’istituto rispetto alle soglie minime richieste dalla Bce per il 2019, allora potrebbe generarsi la necessità di un aumento di capitale, che consentirebbe di emettere nuove azioni con cui convertire le obbligazioni subordinate.

Tuttavia, l’ultima parola per un eventuale aumento di capitale spetta sempre all’assemblea degli azionisti, anche in caso di proposte fatte dai commissari straordinari, con tutto ciò che ne potrebbe derivare.

E qui torna di nuovo ad assumere un ruolo fondamentale la famiglia Malacalza, primo azionista della banca genovese con il 27,55 per cento.

Il ruolo della famiglia Malacalza

Proprio a causa dall’astensione dal voto della famiglia Malacalza, l’assemblea straordinaria tenutasi lo scorso 22 dicembre non aveva potuto dare il disco verde all’aumento di capitale da 400 milioni.

Gli stessi rappresentanti della famiglia erano stati poi chiamati a rapporto dalla Bce dopo tale decisione.

Tra le motivazioni addotte dagli imprenditori piacentini all’astensione dal voto vi era “la mancanza di un nuovo piano industriale, così come tutti i documenti di pianificazione strategica complessivi”.

Inoltre, avevano osservato i Malacalza non c’è a oggi “una completa e definitiva stima del valore effettivo dell’intero portafoglio crediti e non è dato sapere se l’autorità di vigilanza ha svolto o prevede di svolgere ulteriori assessment sulla banca imponendo, come in passato, ulteriori prescrizioni che possano comportare nuove carenze dei requisiti patrimoniali”.

Tuttavia, il fatto che a breve possa essere predisposto un nuovo piano industriale potrebbe rendere la famiglia piacentina più propensa ad aderire ad un’eventuale nuova ricapitalizzazione, anche su pressione della vigilanza.

In casi particolari, tuttavia, non sono da escludere altri tipi di soluzioni qualora quelle di mercato non avessero esito positivo.

L’obiettivo della vigilanza è che si arrivi appunto a una soluzione di mercato per mettere definitivamente in sicurezza Carige, in particolare tramite un’aggregazione.

Nel caso estremo, secondo rumor di stampa, la Bce potrebbe essere costretta a dichiarare l’istituto in dissesto o a rischio di dissesto. In questo caso, il destino della banca finirebbe nelle mani del Single Resolution Board, il comitato di risoluzione unico.

Quest’ultimo potrebbe gestire direttamente il risanamento oppure propendere per una risoluzione. Un’ulteriore alternativa, secondo la stampa, potrebbe essere quella di passare la palla alle autorità italiane, basandosi sul presupposto che la banca non ha rilevanza sistemica a livello europeo.

L’eventuale posizione dello Stato

La situazione relativa alla banca ligure viene monitorata da vicino anche dal Governo.

“Questa vigile attenzione del Governo, ai suoi massimi livelli, è il segno tangibile e la migliore garanzia per proseguire e completare il consolidamento patrimoniale e il rafforzamento imprenditoriale di un’azienda bancaria valutata, dal medesimo Governo, quale essenziale strumento per realizzare il rilancio dell’intero sistema economico-sociale ligure”, si legge nella nota emessa da palazzo Chigi.

Secondo rumor di stampa, l’esecutivo potrebbe replicare quanto successo con le banche venete, intervenendo in modo tale da far confluire Carige verso un’importante gruppo bancario del Paese esercitando una moral suasion sulle principali banche italiane, evitando così che la situazione possa diventare ancora più difficile per il sistema nel suo complesso.

Tuttavia, rispetto al caso delle ex venete, il conto per l’intervento pubblico di garanzia dovrebbe essere significativamente meno salato per le casse dello Stato.

Resta un’ipotesi molto più remota quella di un intervento diretto dello Stato nel capitale di Carige, in stile Mps, considerando anche le rigide regole europee. Lo stesso premier, Giuseppe Conte, secondo indiscrezioni di stampa avrebbe ribadito di non voler versare soldi pubblici nelle banche.