CDP: La porta del dividendo resta aperta

Il cda della Cassa Depositi e Prestiti ha approvato ieri un sostanzioso pacchetto di misure a sostegno dell’economia sotto pressione per l’emergenza coronavirus. Nel comunicato finale non vi è però alcun cenno alle decisioni sulla distribuzione del dividendo: come invece si attendevano questa mattina alcune anticipazioni di stampa (Messaggero ndr).

Le stesse fonti di stampa, a consiglio Cdp concluso, hanno comunque riferito di una “disponibilità” degli amministratori a valutare la distribuzione del dividendo. Par dunque di arguire che saranno i soci in assemblea (il Tesoro con una quota dell’82,7% e una cinquantina di Fondazioni di origine bancaria, forti in tutto del 17,3% restante) a decidere sulla cedola: che per statuto Cdp dovrebbe essere pari al 50% dell’utile netto, pari a 2,7 miliardi nel preconsuntivo 2019.

Lo sviluppo del “dossier cedola Cdp” sembra destinato ad assumere un rilievo particolare dopo le decisioni di azzeramento della cedola 2020 da parte delle maggiori banche italiane (Intesa Sanpaolo, UniCredit, Ubi, BancoBpm), tutte partecipate dalle maggiori Fondazioni italiane.

Nel merito appare problematico che venga del tutto prosciugato alle Fondazioni anche il canale del dividendo “ordinario” Cdp  (attorno ai 220 milioni in tutto) dopo la cancellazione di 650 milioni di cedole bancarie. Se ciò accadesse il sistema delle Fondazioni Acri vedrebbe scomparire una quota maggioritaria dei propri proventi annui di alimentazione delle erogazioni istituzionali su territori.

Il Mef stesso, dal canto suo, difficilmente dovrebbe rinunciare a un incasso diretto almeno parziale, utile a supportare la copertura delle impegnative manovre d’emergenza in agenda. Per quanto la Cdp non sia formalmente una banca vigilata, è comunque prevedibile un’attenzione alle perentorie raccomandazioni della Bce alle banche dell’Eurozona sulla sospensione dei dividendi e sul rafforzamento patrimoniale.

Qualunque sarà l’esito delle valutazioni, già il “progress” procedurale Cdp potrebbe costituire un precedente interessante per banche e assicurazioni quotate. In margine alle decisioni dei cda delle grandi banche italiane, non è infatti mancato chi avrebbe indicato un percorso di governance più proprio in quello che sembra ora essere stato prescelto dalla Cdp.

I consigli d’amministrazione delle banche avevano certamente il dovere di registrare la raccomandazione Bce (comunque un atto non con forza di legge nel Paese) e il diritto di farla propria anche integralmente, raccomandandola ai soci. Ma su una questione del genere – in una società di capitali privata e quotata in Borsa – è agli investitori che spetta sempre l’ultima parola: almeno teoricamente.

La vicenda, fra l’altro, non è formalmente chiusa. E’ vero che la questione è stata cancellata dagli ordini del giorno delle assemblee primaverili, ma con un impegno di principio a riconvocare le assemblee ordinarie nell’ultimo trimestre dell’anno. Quando sarà anche noto che decisioni avrà preso per la Cdp il Mef, che oltre ad essere socio di maggioranza della Cassa è anche una delle “autorità monetarie” nazionali.