Considerazioni sui mercati dopo il report della Fed

Gli attesi verbali dell’ultima riunione della banca centrale americana hanno dato messaggi contrastanti agli investitori.

Dopo un avvio di seduta positivo con bond ed equity entrambi in rialzo, dalla pubblicazione del report abbiamo assistito a una virata in territorio negativo con rendimenti obbligazionari ancora in rialzo.

Che cosa ha detto la Banca Centrale

In teoria solo dichiarazioni concilianti per i mercati, confermando che la crescita economica domestica è solida e l’inflazione è in moderato rialzo. Nessun riferimento invece a un ipotetico quarto rialzo dei tassi di interesse di 25 bps entro l’anno, come qualche casa di investimento aveva cominciato a profetizzare.

Il timore dei mercati

Inizialmente, il rendimento del T-bond decennale è sceso al 2,88%, salvo poi schizzare al 2,95% mettendo nel mirino la soglia psicologica del tre per cento.

Il rialzo dei tassi di interesse, dichiarato dall’ottobre 2014 con la fine del “tapering”, non ha mai fatto paura. La progressione lenta dell’incremento è stata ben digerita, in particolare dal mercato azionario che ha messo a segno una serie incredibile di record nel 2016 e lo scorso anno.

Improvvisamente, da inizio febbraio lo scenario è cambiato e l’ascesa dei rendimenti americani ha accelerato, andando in rotta di collisione con il mercato azionario che nel mese di gennaio aveva guadagnato un altro strabiliante sette per cento su tutti e tre i principali listini.

La rottura al rialzo del 2,8% sulla scadenza decennale ha interrotto, almeno momentaneamente, una trendline positiva del mercato obbligazionario che durava da oltre trentacinque anni.

Tale scenario ha provocato altre vendite le quali, in concomitanza con la pubblicazione di dati macroeconomici un po’ più inflazionistici, si sono successivamente accentuate portando il rendimento del T-bond fino al 2,95% di ieri.

Ora si guarda non tanto alla barriera psicologica del tre per cento, ma all’importante resistenza tecnica del 3,03-3,05 per cento.

Il ruolo della Fed

Al timone della politica espansiva, la banca centrale ha dimostrato di non avere problemi nella gestione del ribasso dei tassi. Alcuni sostengono che abbia esagerato, raggiungendo limiti di velocità inconsueti, e che le multe le pagheremo in futuro.

Al momento è ancora troppo presto per trarre conclusioni definitive, ma il percorso inverso appare tuttavia molto più tortuoso.

La banca centrale è in evidente ritardo sul ritmo dei rialzi dei tassi, con un’inflazione che comincia a fare capolino e sembra sul punto di accelerare. Tre rialzi di 25 bps sono già scontati nel 2018, ma un quarto è quasi sicuro. Goldman Sachs si è spinta a dichiararne un quinto e qualcuno addirittura un sesto. Anche in quest’ultimo scenario i Fed Funds arriverebbero solo al 3%, un livello ancora basso sia per un’economia surriscaldata sia per una che, al contrario, cominci a rallentare alla fine di un ciclo economico tra i più lunghi dalla seconda guerra mondiale ad oggi.

I possibili scenari

Non è tanto il rialzo dei rendimenti, ma la velocità dello stesso che inquieta gli investitori. Il mercato obbligazionario è, in assoluto, il più grande al Mondo per dimensioni e la discesa incredibile dei tassi di interesse ha inondato il pianeta di qualsiasi tipo di emittente che ha trovato facile approdo del suo debito nella fame insaziabile di rendimenti (in calo) da parte di investitori che sono costretti, per statuto, a mantenere parte preponderante dei portafogli in obbligazioni.

Non c’è fuga da tale mercato, come hanno dimostrato i 258 miliardi di obbligazioni governative americane sottoscritte con buona domanda in questa settimana.

La liquidità ancora abbondante consente di digerire facilmente quanto emesso e il rialzo dei rendimenti comincia a rendere le obbligazioni più appetibili, contrastando la paura per la possibile discesa delle quotazioni nei mesi futuri.

Il superamento del livello di 2,80% da parte del T-bond ha provocato un primo scossone sul mercato azionario, in parte già del tutto rientrato, in attesa di vedere se ci sarà una replica nel caso del superamento dell’area 3-3,05%, ormai nel mirino.

Difficile prevedere se il ritmo del rialzo dei tassi di interesse sarà così sostenuto anche nei prossimi mesi o se rallenterà. Molto dipenderà anche dalla pubblicazione di dati macroeconomici più o meno inflattivi o che indichino un surriscaldamento dell’attività economica, quali un’ulteriore discesa del tasso di disoccupazione.

Nel caso, invece, di un’ascesa dei rendimenti meno accelerata, il mercato azionario sembra in grado di digerire il movimento già previsto e dovrebbe limitare eventuali danni.

Per il mercato obbligazionario, invece, il destino sembra segnato e dobbiamo solo augurarci un’uscita ordinata con un ribilanciamento dei portafogli dalle scadenze più lunghe a quelle di breve, sempre più redditizie. Le scadenze governative statunitensi da un mese a tre anni hanno raggiunto il loro rendimento massimo dal 2008 e quella quinquennale dal 2010, un livello decisamente appetibile.