Argentina – La nuova tensione sui mercati emergenti

Argentina di nuovo nell’occhio del ciclone sui mercati finanziari. Alla fine della scorsa settimana, il Peso – la divisa nazionale – ha raggiunto un nuovo minimo sul dollaro, a quota 23,75 portando la discesa da inizio anno al 15%, la peggiore performance mondiale. Solo lo scorso anno il cambio era fissato a quota 15.

La banca centrale ha rialzato i tassi d’interesse al 40%, per la terza volta nelle due scorse settimane, cercando invano di fermare la caduta del peso.

La pressione del dollaro sul peso è anche legata ai recenti rally del biglietto verde, trainato dall’aspettativa di nuove strette monetarie della Fed. In effetti, al di là di quanto accade all’Argentina, ci sono diverse valute emergenti in sofferenza nelle ultime settimane mentre si tornano a vedere rendimenti attraenti negli Stati Uniti.

Buenos Aires è reduce da un 2017 economicamente in ripresa, con una crescita del Pil vicina al 3% che cancella il -1,8% dell’anno precedente.

Secondo le recenti stime del Fmi, la crescita argentina dovrebbe proseguire al 2% quest’anno per poi salire al 3,2% il prossimo e al 3,3% nel 2020. Ma, ovviamente, tutto dipende dalle fratture che lascerà questo nuovo shock valutario.

Nel tempo, tutti gli elementi che potevano far presagire a una crisi – deficit nel bilancio pubblico e nelle partite correnti, un pesante debito in valuta estera, inflazione e moneta sopravvalutata, le materie prime come soia e mais penalizzate dalla siccità – sono insieme diventati una nuova minaccia e purtroppo molto velocemente.

La situazione sembra sfuggita di mano al governo Macrì, il quale ha chiesto aiuto al Fondo Monetario Internazionale per riportare la situazione in equilibrio.

I SEGNALI DI MIGLIORAMENTO

Malgrado il riacutizzarsi della crisi, bisogna dare atto al nuovo governo di avere ereditato una situazione pesante dai Kirchner i quali, tra marito e moglie, hanno governato per oltre un decennio il Paese riportandolo sull’orlo della bancarotta.

Al suo insediamento a fine 2015, l’inflazione reale annua si attestava al 45%, rispetto all’11% del tasso ufficiale.

Il nuovo governo ha cercato di mettere a posto diverse cose, anche il più velocemente possibile. Solo nel settore delle utilities, il più sussidiato dal precedente esecutivo, le tariffe mensili sono passate da una media di tre dollari e mezzo a circa $40 con un incremento di undici volte.

Si tratta di un prezzo ancora contenuto, ma è un cambiamento considerevole. Le classi povere hanno mantenuto i sussidi, per i benestanti si tratta di tariffe ancora insignificanti mentre a farne le spese è stata la classe media piagata anche dall’inflazione che si attesta ancora al 23 per cento.

Le proteste di piazza si sono moltiplicate negli ultimi mesi, in quanto i salari non vengono adeguati agli aumenti dei prezzi.

LE BUONE NOTIZIE

Oltre alla crescita del Pil, prevista tra il due ed il tre per cento, prima di questa pesante svalutazione, le vendite di auto sono in pieno boom, mentre le entrate fiscali crescono del 5/6% al di sopra del tasso di inflazione ed aiutano a tagliare il deficit al di sotto del 3% per questo anno.

In aggiunta, l’inflazione sta scendendo sebbene più lentamente rispetto alle previsioni, a causa dell’aumento delle bollette elettriche il cui effetto dovrebbe tuttavia ridursi nel secondo semestre. In calo anche la disoccupazione.

LE CONSEGUENZE PER I MERCATI

Le turbolenze argentine non sono in grado da sole di minacciare il trend positivo dei mercati mondiali.

Tuttavia, qualora la crisi coinvolgesse altri Paesi emergenti quali ad esempio la Turchia, il Sud Africa, il Messico o la Russia, lo scenario potrebbe cambiare.

L’intervento del Fondo Monetario Internazionale potrebbe stabilizzare la situazione, ma dovrà essere tempestivo per evitare un ulteriore deprezzamento della valuta locale.

Il Paese più esposto è sicuramente la Spagna che ha in Telefonica, Santander e BBVA tre società molto esposte in Sud America.